Milano: rubata per attività truffaldina l’identità whatsapp di suor Anna Monia Alfieri

Mi corre l’obbligo morale e civile di darne immediata notizia a tutela dei miei contatti (sappiate che la mia identità è in mano ad un impostore) e per evitare ad altri la medesima esperienza. Aiutiamoci con senso civico.

Dobbiamo proprio dirlo: le nostre vite sono spiate, studiate, colpite, altro che privacy; siamo violati nell’intimo in modo così subdolo da farci sentire stupidi. Ho avuto questa chiara percezione, a seguito di un episodio che mi è capitato ieri. Lo condivido, solo per trarne un insegnamento utile a tutti. Dopo una intensa giornata di lavoro, in cui all’ordinario si aggiunge lo straordinario, del resto non si vive e non si muore per se stessi, il cellulare ha cominciato a suonare. “Suor Anna Monia, sta bene? Cosa le è successo?”. E così in tantissimi. Sono rimasta ovviamente senza parole. In breve: dal mio cellulare erano partiti centinaia di messaggi in cui si diceva che la mia carta di credito non funzionava e che avevo bisogno di aiuto. Alla preoccupazione per il fatto in sé, si aggiunge quella legata al pensiero che centinaia di persone erano in ansia per me e che la stessa cosa sia accaduta o possa accadere a tantissimi altri. Cosa è successo? Si sono impadroniti del mio account WhatsApp. Una cosa terribile per chi, come me, ha un alto senso del pudore e della riservatezza. Subito, ovviamente, ho allertato Polizia postale e Carabinieri, tutti sempre disponibili e puntuali.  Il senso civico impone a tutti di fermarsi, di capire come sia potuto succedere. Mi sono detta: occorre fare una denuncia pubblica, affinchè altri non cadano nella stessa trappola e non si sentano degli stupidi come mi sono sentita io. Infatti, quelli che hanno ordito la truffa hanno studiato il mio campo d’azione e su questo hanno lavorato. Ho ricostruito, poi, come sono andate le cose: martedì sera ero in treno, ho voluto prendere l’ultimo treno per poter lavorare tutto il giorno. Ero esausta e, siccome il treno era semi vuoto, ho appoggiato la testa sul tavolino per chiudere gli occhi. In quel frangente, mi è arrivato un messaggio da un amico, scrittore e giornalista, un nome noto di cui mi fido, in cui si diceva che stava creando un gruppo WhatsApp sulla scuola, considerate le difficoltà della riapertura. Ho pensato: non posso sottrarmi, ne verrà qualche buona idea, lui è un giornalista importante. Ho pertanto accettato. Era tra l’altro un gruppo chiuso, con il codice di accesso.

Poco dopo, sempre dallo stesso giornalista, è arrivato un messaggio in cui mi si chiedevano dei soldi tramite carta di credito, soldi che poi mi avrebbe restituito. Io, colta in un momento di stanchezza, dopo una giornata di 16 ore di lavoro la soglia dell’attenzione si abbassa, non ho pensato molto e ho risposto che non possiedo una carta di credito. Ecco, dunque, l’origine delle telefonate che mi sono arrivate mercoledì nel tardo pomeriggio. E, ahinoi, in tanti, persone, pur preparate e coltissime, hanno creduto e hanno fornito i dati della carta di credito. E’ necessario avere un’alta soglia di attenzione, perché la fretta della comunicazione rende normale ciò che normale non è.

Ho deciso di raccontare quanto è successo perché a volte, quando succedono fatti del genere, la vittima si sente una stupida. Mi sono detta: “Bastava poco per capirlo”. Alla mortificazione deve però subentrare la denuncia, la conseguente apertura delle indagini, perché si tratta di truffe studiatissime che colpiscono e danneggiano gravemente. La denuncia è aperta e le indagini faranno il loro corso. La polizia postale, i carabinieri hanno trascorso ore con me al telefono (mi auguro che anche i gestori telefonici sappiano dotarsi di tutorial di supporto che discernano le emergenze). Occorre davvero fidarsi delle forze dell’ordine: la riforma della magistratura richiesta con un referendum a voce di popolo avrà un corso celere in un Parlamento che, grazie al covid, ha ripreso a funzionare, ristabilendo le vie della democrazia. Occorre anche fidarsi della stampa perché essa ha il dovere di informare, anche su episodi spiacevoli come quello che è capitato a me.

Occorre poi non vergognarsi, alzare la testa e chiedere aiuto, come ho fatto io: polizia, carabinieri, mio fratello, le mie consorelle, tutti sono scesi in campo per aiutarmi. Le forze dell’ordine a fare la denuncia e a ricostruire gli accadimenti, mio fratello ad avvisare l’impostore che si spacciava per me che era stato scoperto l’inganno, le mie consorelle a mandare messaggi ai vari contatti comuni per informare dell’accaduto e di non tenerne conto.

Ancora una volta il sapere aude, il coraggio di conoscere, di scavare la notizia, di riflettere rende liberi. Ecco il motivo per cui dico ai genitori, alle istituzioni, alla politica che la scuola è l’unica strada che può aiutare il Paese a rinascere. Cari giovani, non basterà il sussidio, la mancetta, la legge più perfetta per tutelarvi dalla discriminazione e dalla truffa, come dalla violenza, credetemi: solo il sapere aiuterà a vivere liberi dall’idiozia, propria e altrui.

Scrivere queste righe mi ha aiutato a ritrovare un po’ di calma: sì, perché confido che il racconto della mia esperienza sia utile agli altri, divenga un’opportunità di bene per la società tutta. Agire per il bene dell’altro, trasformare ogni occasione in qualcosa di bello e di utile è un dovere per ciascuno di noi. E il credo religioso, credetemi, non interessa. In fin dei conti, la truffa di cui sono stata vittima mi ha permesso di scegliere ancora una volta il bene pubblico, di misurarmi con la mia fatica di una coerenza con il senso civile.

Cari giovani, il male si vince uscendo dall’isolamento e si trasforma in una opportunità se incontra il vostro talento che va coltivato proprio ora mentre vi state formando. La curva della deprivazione culturale deve decrescere. Perché? Perché voi abbiate un futuro da uomini liberi.