Covid-19: vaccini, chiarezza su feti abortiti

Federico Pio Fabrizio*

 In questi giorni frasi fuori luogo del tipo “nei vaccini ci sono cellule di feti abortiti” oppure “per fare i vaccini usano feti abortiti”. Ovviamente si tratta di voci infondate.

Alcuni vaccini hanno una formulazione che prevede l’utilizzo di virus attenuati, che hanno perso la loro capacità replicativa ed infettiva ma mantengono quella di creare una risposta anticorpale (ad esempio il vaccino anti-rosolia).

La scelta e lo scopo non casuali, perché in qualche modo tali virus dovranno essere ottenuti. Nei laboratori di ricerca, il modo più ovvio è quello di coltivarli in cellule viventi (perché i virus si riproducono proprio dentro le cellule viventi).

Un esempio: mentre i batteri richiedono dei metodi standard di coltivazione in “terreni” appositi (arricchiti con nutrienti per la loro crescita), per i virus il “terreno” sono delle cellule viventi.

Quindi, prima di passare allo step in vivo (e la sperimentazione sull’uomo), si valutano alcune proprietà biologiche attraverso l’utilizzo di cellule di origine umana opportunamente “coltivate” in laboratorio.

Secondo criterio fondamentale che smentisce questa tesi sconclusionata è dovuto al fatto che si tratta di cellule immortalizzate.  Basta pensare che tali virus si replicano nelle HEK (nome di una linea cellulare), ovvero cellule ottenute da cellule embrionali umane fetali del rene abortito nel 1973. Si parla di cellule donate alla ricerca da almeno cinquanta anni.

Perché si definiscono immortalizzate? Preoccupazione?  No, anche perché, una volta che si replicheranno all’infinito e con più facilità delle cellule adulte, saranno comunemente utilizzate per esperimenti in laboratorio (ad oggi rappresentano un modello ideale per gli studi di ricerca scientifica).

Alcuni vaccini anti-COVID19 (Astrazeneca, J&J o Reithera) si basano su un adenovirus reso inoffensivo perché privato del gene che gli permette di replicarsi. Quel gene è trasferito nella linea cellulare HEK e si è integrato nelle cellule (senza modificarne il DNA), rendondole immortali. Quindi nella ricerca sul vaccino, il nuovo coronavirus viene amplificato e poi sottoposto a tecniche di purificazione.

Non è nulla di complesso. Il risultato è il seguente: il vaccino non contiene alcun residuo delle cellule HEK (che dopo purificazione verranno “gettate via”), quindi composto solo dal vettore virale (indebolito e che non causa malattia) che serve a trasportare quelle informazioni genetiche che stimoleranno la produzione della proteina spike e, di conseguenza, il rilascio di anticorpi neutralizzanti il coronavirus.

*biologo ricercatore