Regione Campania: consigliera di Parità Lomazzo, sollecito a PA ad eliminare da documenti termini sessisti e discriminatori

La Consigliera di Parità regionale della Campania, dott. Domenica Marianna Lomazzo, sollecita le Amministrazioni pubbliche del territorio campano a diffondere e ad agevolare l’innovazione e il cambiamento culturale tramite l’utilizzo di termini non discriminatori in tutti i documenti di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti, modulistica, ecc.)  in attuazione della Direttiva n. 2/19 del Dipartimento della Funzione Pubblica, rubricata: “Misure per promuovere le pari opportunità e rafforzare il ruolo dei Comitati Unici di Garanzia nelle amministrazioni pubbliche” e,  quindi:

a)- a procedere alla sostituzione dei nomi di professioni e dei ruoli ricoperti da donne declinati al maschile con i corrispondenti femminili e, di conseguenza, all’introduzione, nel linguaggio amministrativo, di nuove forme femminili, come assessora, sindaca, segretaria/direttrice generale e ad accompagnare i nomi neutri con gli articoli appropriati al sesso (la dirigente e non il dirigente), etc.;

b)-all’abolizione del maschile inclusivo ed alla sua sostituzione con le due forme, maschile e femminile, anche variamente abbreviate in  tutti i documenti di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti, modulistica, etc.) usando  il più possibilmente sostantivi o nomi collettivi che includano le persone dei due generi.

c) – relativamente agli EE. LL. della Campania, a riscrivere i propri atti (in primis lo Statuto)  nel rispetto di un linguaggio rappresentativo di entrambi i generi.

Una cultura rispettosa delle differenze di genere si traduce, innanzitutto, nell’utilizzo di un’appropriata terminologia volta a rendere immediatamente identificabile il genere femminile ancora fortemente discriminato. Un linguaggio non sessista e/o non androcentrico può essere sicuramente un  potente strumento di promozione dell’uguaglianza sostanziale tra donne e uomini e  può contribuire all’affermazione di una cultura plurale rappresentativa della nostra moderna società. Purtroppo, ancora oggi, siamo costrette/i a registrare come il maschile sia il genere grammaticale maggiormente utilizzato, tanto nel plurale (quale plurale inclusivo), quanto nel singolare, perfino quando ci si riferisce a persone di sesso femminile. Ciò accade maggiormente negli atti normativi, negli atti amministrativi, nella modulistica e nei documenti di lavoro in genere, in uso presso le PP.AA.  Le cause sono da ricondurre alla lenta e faticosa affermazione delle donne negli ambiti della nostra società  dove, spesso, l’uomo è il “deus ex machina”. I ruoli pubblici, le istituzioni e/o le professioni, da sempre appannaggio degli uomini, hanno costretto le donne, che  andavano a ricoprire gli stessi ruoli ed a svolgere le stesse professioni, ad adeguarsi alle definizioni maschili   e/o a preferirle per il timore di vedere indebolito il  loro ruolo. La declinazione dei diritti e delle posizioni rigidamente al maschile non hanno fatto emergere in visibilità le donne soprattutto nella vita pubblica.  Da ciò deriva l’invito ad un corretto uso del linguaggio, che sia rispettoso dell’identità di genere in tutti gli atti, i provvedimenti e gli altri documenti di lavoro emanati ed in uso nelle Pubbliche Amministrazioni. Per perseguire e realizzare questa, che rappresenta una delle azioni positive più significative per la promozione delle pari opportunità, un ruolo strategico può e deve essere svolto dai /le dirigenti e   dagli organismi di parità e, nello specifico, nelle PP.AA., dai CUG, anche in ottemperanza alla direttiva 2/19 del Dipartimento della Funzione Pubblica.”