Hong Kong: dove nasce la protesta

Le immagini di  Hong Kong che i media hanno trasmesso nel corso dell’ultima settimana ricordano quelle  di cinque anni fa: un fiume di manifestanti e ombrelli colorati che rimandano a una realtà di aperta opposizione politica a cui raramente si è assistito nella Cina degli ultimi anni. I manifestanti chiedono che non venga adottato un emendamento alla legge sulle estradizioni, temendo che questo possa determinare un’ingerenza sempre più accentuata di Pechino nell’autonomia di Hong Kong. Stando agli  ultimi aggiornamenti , i manifestanti hanno assediato il parlamento locale – dove si stava ancora discutendo il disegno di legge – fino a farvi irruzione. Gli scontri con la polizia avrebbero causato almeno 20 feriti e le autorità hanno definito la protesta una “rivolta”.

È un momento delicato in cui i risvolti dell’accordo del 1997 tra Regno Unito e Cina , che ha sancito il passaggio di Hong Kong da protettorato inglese a regione amministrativa speciale nella sfera di influenza di Pechino, si fanno sempre più stringenti. Cosa ha spinto i manifestanti a scendere in strada? Quali sono le loro richieste? E a cosa ambisce la Cina?

 Le proteste contro l’emendamento alla  legge sull’estradizione che ha dato il via alle manifestazioni non rappresenta che un tassello di un più profondo  attrito tra Hong Kong e Pechino in vista dell’avvicinarsi della data in cui l’autonomia di Hong Kong dalla Cina, negoziata dal Regno Unito nel 1997, volgerà al termine. Nel 2047 Hong Kong cesserà infatti di avere standard politici, economici e istituzionali diversi e più autonomi rispetto al resto della Cina. E Pechino ha già dimostrato l’intenzione di erodere, anche se in modo quasi impercettibile, il grado di autonomia di Hong Kong.

Nel 2014, Hong Kong era già stata scossa da  proteste durate quasi tre mesi. In quel caso, le manifestazioni erano scaturite dalla decisione del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo di riformare il sistema elettorale di Hong Kong . Tale riforma, poi adottata, è stata infatti percepita come una misura estremamente restrittiva dell’autonomia della regione, poiché ha comportato l’equivalente di una “preselezione” dei candidati alla leadership di Hong Kong da parte del Partito Comunista Cinese (PCC). Non a caso il Capo Esecutivo di Hong Kong,  Carrie Lam Cheng Yuet-ngor , è già stata accusata  di aver intensificato le relazioni con Pechino, nonostante abbia più volte ribadito che la proposta di legge sia stata lanciata su spinta della leadership della città e non da attori esterni.

Le contestazioni non sono quindi una novità nel panorama politico del Paese. Al contrario, dal momento che i cittadini di Hong Kong non sono liberi di esprimere la propria preferenza elettorale, ma hanno il diritto di manifestare, le proteste sono  uno strumento spesso adottato dalla società civile per far sentire la propria voce .

Accordi bilaterali con venti Paesi (tra cui Canada e Stati Uniti), tra cui non rientrano però né la Cina continentale, né Macao, né Taiwan. L’emendamento alla legge che è all’origine delle proteste di questi giorni cambierebbe le cose rendendo l’estradizione possibile per determinati reati, come l’omicidio o la violenza sessuale, pur senza estenderla ad altri tipi di crimini, in particolare quelli legati alla sfera commerciale o economica, come l’evasione fiscale. La proposta di legge ha infatti avuto origine dalla richiesta delle autorità di Taipei di trasferire a Taiwan un cittadino di Hong Kong, accusato dell’omicidio della fidanzata mentre si trovava sull’isola. Come sottolinea  Giulia Pompili  in questo commentary , il timore è che il provvedimento possa colpire anche cittadini stranieri che si trovano di passaggio ad Hong Kong.

All’origine delle proteste vi è dunque soprattutto la preoccupazione da parte dei cittadini di Hong Kong circa il fatto che le richieste di estradizione verso la Cina continentale diano adito a violazioni dei diritti umani e che possano essere usate come pretesto per raggiungere i dissidenti politici fuggiti a Hong Kong dal territorio cinese. Nonostante il piano di estradizione non si applichi ai reati politici, un ulteriore rischio è che la nuova normativa finisca per legalizzare, in un certo qual modo,  i  rapimenti  che si sono susseguiti a Hong Kong negli ultimi anni e di cui Pechino è stata in molte occasioni ritenuta la principale mandante. 

Il tema della contestazione politica è sempre più centrale nelle preoccupazioni delle autorità cinesi. In un momento particolarmente delicato per Pechino, che oltre alla guerra commerciale con gli Stati Uniti si trova a dover far fronte a una serie di sfide interne per il mantenimento della stabilità e dell’integrità dello Stato , una nuova ondata di proteste provenienti da Hong Kong non fa che rafforzare la spinta di Pechino verso l’adozione di risposte sempre più assertive a qualsiasi tipo di contestazione. Il 2019 è l’anno degli “anniversari difficili” per il PCC, a partire da quello dei 30 anni trascorsi dalle proteste di piazza Tiananmen del 1989 che ha, ancora oggi, provocato una censura diffusa sulle piattaforme di comunicazione cinesi.

Per il momento, le autorità di Hong Kong non permettono al PCC di intromettersi nelle questioni che riguardano la sicurezza interna del Paese. Tuttavia, il momento per Hong Kong di cominciare a negoziare con Pechino per mantenere anche solo una minima parte del grado di autonomia di cui ora gode si sta lentamente avvicinando. Per la Cina, stabilità e sicurezza sono legate a doppio filo con i propri obiettivi di sviluppo economico, e proprio per questo Pechino le ritiene fondamentali: alla luce delle proteste di questi giorni, c’è il rischio concreto che in nome della stabilità la leadership comunista cinese accentui il livello di assertività nei confronti della società civile di Hong Kong , incrementando nel corso dei prossimi anni le ingerenze in un Paese considerato come “instabile”-
Ellera Ferrante di Ruffana