Salerno: chirurgia bloodless d’avanguardia e rispetto delle scelte etiche al “Ruggi”

L’entrata in vigore della legge n. 219 del 22 dicembre 2017 relativa alle norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento garantisce a ogni cittadino italiano che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Tale disposizione legislativa promuove e valorizza la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico e concilia l’autonomia decisionale del paziente con la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico.

I testimoni di Geova italiani hanno particolarmente apprezzato la suddetta normativa che permette loro di essere curati nel rispetto delle proprie convinzioni etiche. Essi non sono affatto contrari alla medicina, né desiderano stabilire con il medico un patto suicida. Vogliono vivere ed essere curati nel miglior modo possibile senza ricevere emotrasfusioni.

Le alternative alle cure che prevedono l’impiego di trasfusioni ematiche sono molteplici, presentano numerosi vantaggi e permettono di evitare i rischi connessi all’utilizzo del sangue altrui. Quali sono tali alternative e quali benefici offrono? Ne parliamo con il prof. Alessandro Puzziello, Primario del Reparto di Chirurgia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Di Dio e Ruggi D’Aragona di Salerno.

D: Prof. Puzziello, lei è specializzato in chirurgia dell’apparato digerente. Sappiamo che da tempo esegue interventi chirurgici anche molto complessi senza ricorrere a emotrasfusioni. Del resto, da tempo il Ministero della Salute sta incoraggiando l’implementazione negli ospedali italiani del cosiddetto Patient Blood Management, una strategia che ha l’obiettivo di ridurre al minimo l’utilizzo di emotrasfusioni. Quali sono i vantaggi di questo tipo di approccio e in generale della medicina “senza sangue”?

R: I lati positivi nel non trasfondere quando non è necessario possono essere tanti. Ritengo che sia molto conveniente per il decorso post-operatorio non alterare il patrimonio immunologico del paziente, cosa che avviene invece con le emotrasfusioni. Alla luce di questo la moderna chirurgia tende sempre di più a ridurne l’impiego perché si è constatato che la risposta immunologica nel paziente è a sfavore delle emotrasfusioni e a favore di  un intervento chirurgico senza l’utilizzo di sangue. Ritengo che questo tipo di approccio debba essere implementato. Del resto abbiamo dei protocolli e delle linee guida molto ben codificati sia dalla Società Italiana di Rianimazione che dalla Società Italiana di Chirurgia e dall’Associazione dei Chirurghi Ospedalieri che regolamentano attentamente l’impiego delle emotrasfusioni. Calcoli che interventi eseguiti con strumenti avanzati di controllo delle principali complicanze come sanguinamenti e infezioni, hanno effetti diretti anche sui costi sanitari: si risparmia il 25% di un intervento tradizionale e il 50% della degenza ospedaliera. Attualmente si avvalgono di queste tecniche ‘bloodless’ il 10% degli interventi, percentuale che potrebbe essere incrementata al 30-40%.

D: Potrebbe spiegarci quali procedure utilizza per ridurre al minimo la perdita di sangue e il conseguente ricorso alle trasfusioni ematiche?

R: Innanzitutto interveniamo, ovviamente su pazienti anemici, sui valori di emoglobina aumentandoli prima dell’intervento con dei prodotti a base di ferro e con l’eritropoietina. Questo ci consente di minimizzare le conseguenze del sangue perso durante l’intervento. Inoltre, è richiesta una maggiore attenzione nell’ambito dell’intervento chirurgico vero e proprio. Questo significa prestare particolare considerazione ai piani anatomici ed essere molto scrupolosi nell’emostasi chiudendo progressivamente i vasi sanguigni. I dettami della moderna chirurgia prevedono dei metodi di dissezione e di conseguente coagulazione molto meticolosi. Attualmente disponiamo di strumenti a ultrasuoni o di strumenti a radiofrequenza che ci permettono di chiudere rapidamente i vasi sanguigni e di ridurre quindi al minimo l’emorragia. In aggiunta a ciò molte strutture impiegano il recupero sangue attraverso macchinari idonei e procedure ininterrotte. Grazie alla attenzione del nostro Direttore Generale, dr. Longo, ci stiamo attrezzando per dotare il complesso operatorio di macchinari di questo tipo utili in tutti i pazienti. Del resto la sinergia tra Direzione Strategica Dipartimenti e le Strutture Complesse di Diagnosi e Cura è la base per una sana e buona medicina.

D: Ci pare di capire che questo tipo di approccio chiama in causa anche la professionalità e la scrupolosità di chi esegue l’intervento. Sbagliamo?

R: Il chirurgo è sempre attento e meticoloso quando opera. A volte, però’, inconsciamente sapendo che si può comunque ricorrere alla trasfusione potrebbe essere più tranquillo nella tecnica di dissezione. Quando invece sa che il soggetto che sta operando non vuole la trasfusione per ragioni etiche o non può riceverla per motivi di natura medica, allora scatta un ulteriore meccanismo di maggiore attenzione. Ritengo che il discorso delle emotrasfusioni debba essere affrontato in maniera estremamente seria e corretta, senza pregiudizi o falsi condizionamenti. Mi riferisco alla medicina difensiva che crea problemi gestionali a chirurghi e aziende che operano unicamente nell’interesse dei malati e non certo per fare complicanze. Inoltre, non ci dovrebbero essere radicalismi da parte dei chirurgi. Io la penso diversamente. In tutti gli interventi eseguiti finora, il ricorso alle trasfusioni ove necessario è stato sempre all’interno di protocolli e linee guida.

D: Ha avuto dei casi particolarmente complessi che è riuscito a gestire con successo senza ricorrere a emotrasfusioni?

R: Fino ad ora, nella pratica clinica corrente, cioè nelle persone che accettano trasfusioni, come dicevo stiamo riducendo l’uso delle trasfusioni ove non necessarie, anche se comunque inoltriamo le richieste preoperatorie come da protocolli al Centro Trasfusionale dell’Azienda.

Per quanto concerne i pazienti della comunità dei testimoni di Geova che si sono rivolti alle cure della nostra Unità Operativa, in un’occasione, in una persona affetta da una importante neoplasia gastrica, abbiamo avuto un sanguinamento in terza giornata che abbiamo affrontato con sostituti e plasma expanders per poi ricorrere ad un reintervento. Anche qui abbiamo operato senza uso di sangue e senza complicanze; il paziente è andato a casa con un lieve ritardo sul decorso operatorio e oggi ci incontriamo periodicamente per i controlli ambulatoriali della terapia postoperatoria. Inoltre, abbiamo operato con successo molti casi di patologia oncologica (in particolare neoplasie colorettali e dello stomaco) in persone che rifiutano l’eventuale ricorso alle trasfusioni. Ripeto, con i presidi oggi disponibili, con attenzione da parte del chirurgo, conoscendo qual è il problema del soggetto che si opera e rispettando la sua volontà in maniera etica e soprattutto in maniera responsabile, si può tranquillamente fare a meno della trasfusione.

Del resto, è storia recente il successo di un trapianto di fegato eseguito dalla equipe del Centro Trapianti di Verona in una donna sessantenne testimone di Geova , a dimostrazione che, anche se la gestione di un trapianto di fegato rappresenta una sfida importante, vi sono procedure tecniche e presidi che ci aiutano.

D: Secondo lei quanto è importante rispettare le volontà del paziente in campo terapeutico?

R: Attualmente si presta particolare attenzione alle esigenze personali e alle scelte dei pazienti. Un tempo ci si affidava completamente alla decisione del sanitario il quale, pur informando il soggetto in cura, aveva la scelta definitiva. Oggi si tende a condividere la scelta, non per deresponsabilizzarsi, ma per rispettare le posizioni etiche e religiose del paziente. Possiamo offrire una chirurgia adeguata alla stessa stregua di come si opererebbe un paziente che accetta le emotrasfusioni. Per me è fondamentale rispettare la scelta del paziente e metterlo al corrente delle procedure che utilizzerò e delle eventuali complicanze. Una volta che il paziente è informato, conosce e accetta il rischio connesso, condividiamo insieme la scelta e andiamo avanti.

 Matteo Pierro