Rousseau e le donne (1)

Aurelio Di Matteo

Dopo aver espresso le considerazioni sul rapporto con le donne dei due grandi pensatori – Kant ed Hegel – ritenuti pilastri del cammino filosofico e culturale del mondo Europeo e Occidentale e che per tante ore di studio hanno impegnato i vecchi alunni dei Licei, non potevo ignorare il multiforme Rousseau, che ha con le sue “utopie” esplicitamente interessato trasversalmente filosofia, politica, pedagogia, narrativa, ecc.

Ancora oggi è assunto, con riferimento seppur nominativo, a rappresentare un Movimento protagonista della vita politica più significativa e innovativa dell’Italia. Lo strumento di aggregazione, di dibattito, di decisione e di quant’altro del Movimento 5Stelle, che nell’odierno universo digitale e virtuale ha sostituito le “sezioni” dei partiti e ripristinato sul web l’antica idea di agorà, la concreta piattaforma con la quale si identificò il primo processo della democrazia greca, è stato intitolato proprio all’innovatore Rousseau.

Ponendo alcune connesse preliminari domande, che mi servono anche come prologo alla mia lettura del rapporto con la donna di questo grande del nostro passato culturale, non vorrei apparire impertinente, magari un saccente critico di questa forza politica, come oggi dall’alto della loro presunta “sapienza” fanno pregiudizialmente tanti. Per sgombrare eventuali dubbi aggiungo che ho dato il mio voto a questo Movimento, ritenendolo oggi l’unica forza politica capace di apportare qualcosa di nuovo e diverso nella vita economico-sociale italiana, nella quale la destra continua a fare la destra e la sinistra, neoliberista, si è messa a fare concorrenza alla destra.

Ed ecco le domande. Chi ha scelto il nome di Rousseau per la piattaforma digitale del Movimento condivide il suo pensiero? Ne conosce gli aspetti significativi, anche sulla donna e la sua educazione? Ne conosce la implicita ed esplicita soluzione autoritaria? Insomma, le utopie politiche del pensatore Rousseau sono adeguatamente finalizzate ad una democrazia diretta? Sono veramente utilizzabili, almeno come prospettiva generale, per consentire ai cittadini la diretta partecipazione alla governance della società, di realizzare la giustizia con il concreto esercizio dei diritti umani e non di quelli positivi, di eliminare le disuguaglianze sociali e soprattutto quelle di genere, che qui interessano? O, consapevolmente, è stato scelto soltanto per il fascino del nome e di quanto impropriamente di lui è stato detto e pubblicizzato in questi due secoli?

Alla domanda sull’uguaglianza di genere, nelle seguenti poche righe cercherò di dare risposta, sulla cui giustezza e validità spero per una positiva valutazione nella generosità dei miei cinque lettori.

Come per Kant ed Hegel il rapporto con la donna acquista senso e collocazione con riferimento alla generale visione della realtà e alle concrete situazioni, analogamente avviene per Rousseau. È, infatti, dalla visione politica, tradotta nelle “utopie” espresse in modo particolare e organico nel Contratto sociale e nell’Emilio, che deriva la collocazione sociale della donna, unitamente alle vicende personali come riportate nelle tante Biografie e nelle sue Confessioni o rappresentate nel romanzo epistolare Giulia o la nuova Eloisa, nel quale è sostanzialmente trasposta Madame d’Houdetot.

Leggiamo nelle Confessioni: “Venne; la vidi, ero ebbro di amore senza oggetto, quell’ebbrezza mi affascinò gli occhi, quell’oggetto si fissò in lei. Vidi nella signora d’Houdetot la mia Giulia; e, in breve, non vidi più che la signora d’Houdetot, ma rivestita di tutte le perfezioni di cui avevo ornato l’idolo del mio cuore. […] Ascoltandola, sentendomi vicino a lei, ero scosso da un fremito delizioso mai provato accanto a nessuna donna. […] Nonostante i sentimenti straordinari provati vicino a lei, non mi accorsi da principio di quanto mi era accaduto. Solo dopo la sua partenza, volendo pensare a Giulia, fui colpito di non poter più pensare che alla signora d’Houdetot”.

Già in una delle lettere del romanzo, che la protagonista Giulia scrive al suo amante, era espressa la netta distinzione tra il legame del matrimonio e quello con l’amante.

L’amore va continuamente unito a un’inquietudine, di gelosia o di privazione, che non s’accorda col matrimonio: il quale è uno stato di pacifico godimento. Non ci si sposa per pensare esclusivamente l’uno all’altro, ma per adempiere insieme i doveri della vita civile, governare con prudenza la casa e educare bene i figli. […] Quanto al signor Wolmar, [il marito della protagonista Giulia-Eloisa] nessuna illusione ci fa parziali: ci vediamo come siamo; il sentimento che ci unisce non è il cieco trasporto dei cuori appassionati, ma l’invariabile e costante affetto di due persone oneste e ragionevoli le quali, destinate a trascorrere insieme il resto dei loro giorni, sono contente della loro sorte e cercano di addolcirsela a vicenda”.

Di qui discende anche il progetto educativo che sarà organicamente illustrato nell’Émile.

In un altro passaggio del romanzo chiaramente e sinteticamente lo formula: “Dimostrato che gli uomini e le donne non hanno, e non debbono avere, lo stesso carattere o lo stesso temperamento, ne consegue che non debbono ricevere la stessa educazione”.

Da una parte la morale, i doveri e le convenzioni che la società civile impone con le costruzioni giuridiche e religiose compatibili con la legge etica; dall’altra la pura passione amorosa, espressione quasi sacrale della natura, fondamentale e inalienabile diritto umano.

È la concezione della donna come moglie e come madre sulla base del principio di una radicale differenza di genere, che assegna i ruoli predeterminati nella società. Da una parte la passione e l’amore, dall’altra la tranquillità e la pacificazione con l’ambiente civile; da una parte la libertà e l’autonomia della persona, dall’altra il rispettabile benestare sociale. (continua)