Salerno: Alternanza Scuola-Lavoro, al Liceo “Severi” mostra “Sport, sportivi e giochi olimpici nell’Europa in guerra (1936– 1948)”

 Dagli stadi ai campi di concentramento

 

 La mostra “Sport, sportivi e giochi olimpici nell’Europa in guerra (1936– 1948)”al Liceo “Severi”  riapre le ferite di un’Europa dilaniata dalla guerra

Nell’auditorium del Liceo Statale “Francesco Severi” è stata in esposizione, dal 28 gennaio all’11 febbraio 2019, una interessante mostra sullo sport durante la guerra, nel periodo che va dal 1936 al 1948. Dai giochi Olimpici del 1936 a quelli di Londra del 1948, lo sport è stato fortemente politicizzato, infatti è diventato sinonimo di arruolamento.

Dal 1931, dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler, le Olimpiadi vennero strumentalizzate e sfruttate per la diffusione della propaganda nazista. Le cerimonie delle competizioni divennero un’occasione per dimostrare la superiorità del regime, tant’è vero che il saluto hitleriano veniva sbandierato da intere folle.  In Italia dal 1922 Benito Mussolini aveva avviato una politica di sviluppo della pratica sportiva che inquadrava lo sport sotto l’autorità dello Stato.

Quando nel 1938 vennero proclamate le leggi razziali e il regime fascista introdusse una politica persecutoria nei confronti degli Ebrei, anche nel campo sportivo furono applicate misure persecutorie e discriminatorie. Alcune società sportive pubblicarono il regolamento “ariano”. Uno delle vittime di questi provvedimenti che ne derivarono fu l’allenatore ungherese Árpád Weisz che, negli anni ‘30, aveva contribuito a portare all’apice del campionato di calcio le squadre dell’Inter e del Bologna: costretto a lasciare l’Italia, Weisz cercò rifugio nei Paesi Bassi. Da qui, nel 1942, venne deportato ad Auschwitz dal quale non ritornò mai.

Secondo Adolf Hitler, “Il giovane tedesco del futuro doveva essere agile e slanciato, vivace come un levriero, coriaceo come il cuoio e duro come l’acciaio di Krupp”. Lo sport sotto il nazismo infatti era, infatti, parte integrante della vita dei giovani che dovevano allenarsi dieci ore a settimana. Anche le ragazze dovevano essere in forma affinché “offrissero allo Stato e al popolo figli in perfetta salute”. L’attività sportiva era uno strumento a sostegno della fertilità.

Ad attirare l’attenzione di tutti Helene Mayer, la vincitrice della medaglia d’argento, che fa il saluto nazista. Di origine ebraica per parte di padre, Helene gode di una grande popolarità in Germania fin dalla sua vittoria ai Giochi di Amsterdam del 1928, all’età di soli 17 anni. In California, Helene riceve nel 1933 la notifica della sua espulsione dal club sportivo di Offenbach di cui faceva parte, in ragione delle sue origini ‘non ariane’. Incarnazione fisica della perfetta ‘ariana’ per i nazisti, per i suoi capelli biondi e la carnagione chiara, la giovane campionessa si era sempre considerata pienamente tedesca e lontana dall’ambiente dell’ebraismo. Il regime nazista però si vede costretto a compiere un gesto diplomatico, inserendo alcuni sportivi ebrei nella propria formazione olimpica per far cessare le pressioni internazionali che volevano il boicottaggio delle Olimpiadi.

Le federazioni sportive operaie vennero bandite e gli Ebrei vennero esclusi dai campionati tedeschi. Questo, però, non negava l’esercitazione di attività fisiche nei club sportivi, fino a quando nel 1938 con “la notte dei cristalli” venne imposto il divieto assoluto agli ebrei di praticare attività sportive.

Lo sport nei campi di concentramento divenne per i prigionieri un mezzo con cui sentirsi liberi, ma anche per non perdere allenamento fisico per resistere alla condizione in cui vivevano. Nel processo di disumanizzazione perpetrato contro i prigionieri, gli ebrei erano per i nazisti già morti, anche se ancora in vita: infatti, li trattavano come animali, tanto da organizzare corse di cavalli umani portando “i cavalli” allo sfinimento. Chi vinceva la corsa otteneva il diritto di vivere, almeno ancora qualche giorno.

L’evento culminante nel quale si mostrò la potenza nazista furono le olimpiadi di Berlino con le quali il ministero nazista diffuse in tutto il mondo volantini pubblicati in quattordici lingue europee e altre diciannove estere. Con quattro voti di maggioranza gli Stati Uniti riuscirono a partecipare a queste olimpiadi nonostante un clima di pressione per il boicottaggio dei giochi. Salvo poche eccezioni, gli atleti ‘ariani’ subirono la supremazia sportiva in campo atletico degli afro-americani.  Tra le eccezioni abbiamo la leggenda dell’atletica leggera, James Jesse Owens che, con le sue quattro medaglie d’oro ha superato la dimensione della storia sportiva.

Intanto, sono apparse al centro del dibattito pubblico nuove questioni: corsa infernale per raggiungere i record sportivi, talvolta anche con l’uso di sostanze dopanti per aumentare le performance durante le gare. La Germania degli anni Trenta, infatti, era in preda a “una grande euforia” causata dalle droghe che dominavano tutto il Terzo Reich, diffuse e adoperate dallo stesso Hitler che si faceva chiamare dal suo medico personale, Theo Morell, “paziente A”. Questo fenomeno trova posto anche in Italia con il così detto “paziente D”, cioè il Duce, che praticava lui stesso iniezioni per “tirarsi su”. La droga più diffusa è il Pervitin, una metamfetamina purissima spacciata per farmaco stimolante, progettata dopo aver scoperto le prestazioni degli atleti degli Usa nelle Olimpiadi berlinesi del 1936. I Francesi, per questo, descrivevano i nemici tedeschi come “indiavolati” e “posseduti”.

Donatella Vece – Gaia Bolognese