La satira…per poter sorridere

“Satura quidem tota nostra est”: questa citazione di Quintiliano, risalente al I secolo d.C., è sufficiente per spiegare quanto antico ed apprezzato sia il genere della satira. L’oratore afferma, infatti, con certezza, che si tratta di un genere prettamente romano ed il suo pensiero è confermato dal fatto che è possibile rinvenirne esempi e trattati nella letteratura romana e molto meno, invece, in quella greca. Il genere satirico è, per sua natura, difficile da definire, poiché si situa a metà tra comico e serio, tra realismo e grottesco, distinto forse soprattutto dalla propensione a scardinare, anche con violenza, forme e usi propri della cultura ufficiale. Quella della “satira”, dunque, è una definizione complessa e mutevole nel tempo, per questo è necessario seguire un percorso storico dalle sue origini fino ai giorni nostri. Una possibile derivazione del termine è l’aggettivo latino “satur”, ovvero “colmo”, “sazio”. Tale aggettivo viene ricollegato al “Satura Lanx”, cioè un variegato piatto di primizie offerto agli dei. La varietà dei cibi offerti alle divinità viene paragonata proprio alla satira, ovvero quella composizione poetica multiforme in grado di schernire modi di vita, atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, una certa categoria di persone o qualcuno in particolare; durante la rappresentazione delle satire, difatti, si alternavano vari generi, senza preferenze particolari. Le prime testimonianze di questo genere compaiono nelle opere di Ennio (239–169 a.C.), le cui satire avevano contenuto vario, tra osservazioni moraleggianti, confessioni personali ed autobiografiche e critiche letterarie. Una vera e propria caratterizzazione si è avuta, però, solo grazie a Lucilio, definito dallo stesso Orazio come l’ “inventor” della satira, poiché fu il primo poeta latino ad occuparsi unicamente di composizioni di questo tipo. Pur mantenendo le caratteristiche enniane, Lucilio ne accentua l’aspetto di critica morale e sociale ed il tono aggressivo, attraverso offese dirette ed invettive. Si ha una regolazione definitiva del genere satirico, in seguito, con Orazio, sia a livello esametrico, sia a livello tematico. Persio, in età imperiale, si servì proprio della satira per trasformarsi in un vero e proprio castigatore dei vizi umani. Di periodo in periodo, di poeta in poeta, la satira si è sempre occupata di temi rilevanti come la politica, la religione, la morte e attraverso la risata ha trasmesso delle piccole verità, ha smascherato ipocrisie, e attaccato i pregiudizi. Come anticipato in precedenza, il genere della satira ha subìto una notevole trasformazione, di secolo in secolo, così da far evolvere e mutare quasi completamente le caratteristiche passate. Con il passare del tempo, infatti, essa è diventata solo e soltanto una critica comica. Molti autori si sono interrogati, nel corso dei secoli, su che tipo di satira sia meglio concentrarsi. Le alternative possibili erano due: una era una commedia fatta solo per far ridere; la seconda era una commedia a sfondo morale, attraverso cui poter riflettere e far riflettere chi guardava ed ascoltava. Carlo Goldoni, uno dei maggiori esponenti del teatro del ‘700, si pone questo quesito all’interno de “Il teatro comico”, riflettendo sul fatto che le sue opere, con il passare del tempo, verranno dimenticate e non faranno più ridere, poiché cambieranno gli usi e i costumi del futuro. A questo punto, comprende: “Sapete cosa piacerà sempre al teatro? La critica, basta che sia moderata, che prenda di mira l’universale”. Per riuscire a scrivere un’opera apprezzabile da qualsiasi popolo in qualsiasi periodo storico bisogna, secondo Goldoni, svincolarsi dalla realtà del momento e criticare l’universale, cioè quei difetti che saranno sempre presenti nella natura umana. Anche Vittorio Alfieri, a quasi mezzo secolo di distanza da Goldoni, si pone lo stesso interrogativo nella “Vita”. Non è soddisfatto della satira, perché il “fallace genere, il di cui buon esito, spesso momentaneo, è posto e radicato assai più nella malignità e invidia naturale degli uomini” che nella bravura di chi scrive. In pratica, la paura di Alfieri è quella di avere successo solo perché è intrinseco nella natura umana il desiderio di critica e non perché l’autore sia  effettivamente capace di scrivere. Nel ‘900 il genere satirico ha un declino, per lasciare spazio a periodici e disegni di satira politica e sociale. Un grande esempio di romanzo satirico può essere “La fattoria degli animali”, di Orwell, nel quale lo scrittore descrive il modo in cui una rivoluzione, ambientata in una fattoria particolarmente mal tenuta, dove gli animali decidono di ribellarsi e di vivere senza aiuto umano, degenera fino a divenire la parodia di sé stessa. Avvicinandoci ai nostri tempi, è possibile citare l’opinione di Dario Fo: il drammaturgo afferma che il genere che fa spesso ridere è lo “sfottò”, ma che solo se vi è dietro una reale riflessione morale esso farà sempre ridere; se si prende di mira, ad esempio, un politico, la satira che si crea genererà ilarità solo in chi conosce quel politico, ma a distanza di anni quelle battute diverranno obsolete. Se, invece, la satira è basata su una morale e se non è legata ad alcun personaggio in particolare, essa potrà sempre essere apprezzata, anche se dovessero modificarsi gli usi e i costumi dei popoli che leggeranno o assisteranno alla messa in scena. Ciò, però, non è percepibile nella satira attuale, la quale consiste soltanto nel criticare comicamente e nella ridicolizzazione di personaggi famosi politicamente, socialmente e culturalmente. Pochissimi comici e rari scrittori riescono a dare una buona base morale alle proprie esibizioni ed opere. La satira “moderna” è riconoscibile nelle vignette fumettistiche, nei programmi televisivi con fini umoristici o derisori, nell’attività di molti comici che mirano alla messa a nudo di aspetti negativi di personaggi influenti e sul Web. Nonostante ciò, però, non va mai messa da parte o troppo limitata: la satira attuale è un mezzo di comunicazione forte ed efficace, sicuramente un modo per non perdere la libertà di espressione e di opinione, spesso minacciata o limitata.

Domenico Cappuccio