La voce dell’Africa: Chupa, bottiglia

Padre Oliviero Ferro*

Spesso è la consolazione di chi non riesce a sconfiggere i problemi o chi vuole sentirsi più grande di quello che è. Mi ha sempre meravigliato, il primo giorno dell’anno, di vedere dei giovani buttati lungo la strada con gli occhi stralunati. Avevano festeggiato troppo l’ultimo dell’anno. Tra di loro c’erano anche dei giovanissimi che per far capire che erano grandi, si erano sbronzati. Ma purtroppo succede anche agli uomini in Africa, che fin dal mattino presto bevono una specie di grappa (kanyanga) e non mettono niente nello stomaco. Forse perché hanno paura di affrontare i problemi. Ma le loro mogli invece vanno nei campi a lavorare. Se lo facessero anche loro…ma l’uomo, si dice, ha la sua dignità. Poi, nei momenti di festa, allora lì ci si scatena. Si portano i casier, da 12 bottiglie di birra e naturalmente bisogna finirle. Altrimenti si rischia di venire presi in giro. Anche nelle veglie funebri e nei funerali, la birra scorre a fiumi. Bisogna sconfiggere la morte. Naturalmente, le conseguenze, lo sappiamo, non sono simpatiche. Spesso i soldi vengono sprecati nell’ubriacarsi e in altre cose. In tutti i paesi africani, la produzione di birra e di altre bevande, non diminuisce, anzi aumenta. E’ un modo per stordire la gente e impedire di pensare. Cosa fare? La soluzione se la deve trovare ciascuno. Ma soprattutto aiutare, almeno i più giovani, a non lasciarsi andare all’alcool e anche alla droga. Non si va da nessuna parte, lo sanno bene, ma non sempre hanno la forza per capirlo fino in fondo.

*missionario saveriano