Il Natale visto da Ludolfo il Certosino

don Marcello Stanzione

Ludolfo, monaco certosino originario della Sassonia, nacque tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo. Entrò giovanissimo nell’Ordine dei domenicani, dove rimase ventisei anni e compì gli studi di teologia, divenendo “magister theologiae”. Nel 1340 la sua indole fortemente contemplativa ed eremitica lo spinse nell’Ordine certosino, dove entrò come novizio nella Certosa di Monte Santa Maria di Strasburgo; qui fece la sua professione. Nel 1343 fu priore della certosa di San Beato di Coblenza, richiesto fortemente dai monaci di quella comunità, ma dopo cinque anni chiese di essere fatto monaco semplice per dedicarsi alla preghiera e alla contemplazione nella sua cella. Ottenuto il permesso dal Capitolo Generale del suo ordine si ritirò nella certosa di San Michele di Magonza, ma dopo alcuni anni fece ritorno a Strasburgo nella casa della sua professione, dove morì il 10 aprile 1377 infama di santità. Di lui si possiedono poche notizie perché egli, come tutti i veri contemplativi di vita eremitica, condusse una “vita nascosta”, fatta di ascesi, di orazione e contemplazione. Sappiamo però che è stato un prolifico scrittore di teologia spirituale, di ascetica e mistica, e che, oltre alla voluminosità, Vita di Gesù Cristo, scrisse diversi volumi minori, tra i quali un commentario ai salmi. Si dice che ebbe modo di conoscere i due mistici tedeschi Giovanni Taulero (1300 ca. – 1361) ed Enrico Suso (1295/ 1300-1366). Anche se non li conobbe direttamente, la sua spiritualità fortemente cristocentrica ebbe certamente un grande influsso sui due scrittori spirituali. Ludolfo fu certamente impregnato dallo spirito della corrente spirituale del suo tempo, la devotio moderna, basata sul cristocentrismo pratico e su una pietà semplice e popolare, che si fa risalire a sant’Agostino e alla elaborazione dei Canonici regolari di San Vittore, dei Cirstencensi e dei Francescani; si pensi a san Bonavnetura (1217 ca. – 1274) , a Davide di  Augusta (1200/1210 – 1272) e a Suso. Riguardo al Natale il certosino Ludolfo di Sassonia così scrive: “La nascita di Cristo sulla terra avvenne in un periodo particolarmente pacifico; il Verbo eterno venne in un momento di pace, perché egli non nasce se il cuore dell’uomo non è pacifico e l’ambiente intorno a lui non è  pacificato. E’ quella stessa pace che egli lascerà ai suoi discepoli prima di ascendere al Padre suo. Alla vigilia della sua nascita, ebbe inizio il censimento di tutta la terra. “Andavamo tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta” (Lc 2, 3-5), così, appena nato, il suo nome figurò già nell’elenco dei sudditi. Dice san Gregorio: “Questo perché noi intendessimo che il Cristo veste la nostra umanità, al fine di far iscrivere mi suoi eletti nel libro sacro dell’eternità. Oh, Signore! Mettetemi nel numero dei vostri eletti e fate che il mio nome compaia insieme a loro per l’eternità!”. Fin dal momento in cui nacque Gesù cristo esempio d’umiltà che inizia con la sua nascita e termina con la sua morte. Egli nasce di notte, perché viene al mondo in modo misterioso e sconosciuto per ricondurre alla luce della verità coloro che, sepolti, giacevano nelle tenebre dell’errore. Quando  nacque, la sua dolce e santa madre lo accolse adorandolo come Dio, quindi , avvolto in povere fasce, lo depose non in una culla d’oro e diamanti, o in un office letto, ma sulla paglia d’una mangiatoia dove fu riscaldato dal fiato di un bue e di un asino, due animali semplici e mansueti. Ecco la gran povertà e indigenza di Gesù Cristo, che non solo non ebbe una casa propria dove nascere ma neppure una locanda, luogo comune a tutti; non poté riposare in un luogo adatto al suo bisogno, ma fu necessario riporlo in una greppia, come lui stesso, quando fu cresciuto , ebbe a dire: “Le  volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). In ogni situazione della sua incarnazione terrena il Salvatore ci ha mostrato l’umiltà del suo riposo, non tanto con la parola ma con le vicissitudini della vita: prima si riposò nel seno di una pia e umile Vergine; poi in una vile mangiatoia, quindi sul legno della croce, finalmente in un sepolcro, che non era il suo. Maria santissima, a somiglianza di una santa arca, in cui stanno racchiusi i segreti della divinità, aveva raccolto in fondo al cuore i santi avvenimenti in cui era stata principalmente coinvolta, cioè l’annunciazione dell’angelo, l’esultazione di Giovanni  nel grembo materno, la nascita del Salvatore, il canto degli angeli, la visita e la fede dei pastori. Tutte queste immagini e vicende lei le aveva raccolte e le custodiva dentro di sé ruminandole e contemplandole di continui. L’esatto ricordo, che ella aveva conservato , verrà più in là trasmesso agli apostoli e ai discepoli, che l’avrebbero seguita come vera maestra di vita. Inoltre confrontò i santi avvenimenti di cui era stata protagonista con le antiche Sacre Scritture, in cui era dotta conoscendo gli oracoli dei profeti; queste continue meditazioni le rivelarono chiaramente che il bambino appena nato era Dio e in lui trovarono compimento tutte le profezie. Aveva letto di “una vergine che concepirà e partorirà un figlio” e sapeva come lei aveva concepito senza perdere la verginità. Aveva letto. “Questo fanciullo sarà chiamato Nazareno quando lo concepì di Spirito Santo. Fin dalla sua nascita, Gesù fu il modello della perfezione cristiana che si realizza nell’umiltà, nella povertà e  nell’austerità. Il presepe significa la condanna degli onori di questo mondo,m delle ricchezze, della carne, dell’abbondanza e delle frivolezze delle cose terrene. Per essere a noi simile, il padrone dell’universo, che di nulla ha bisogno, non temette di fare i primi passi nella vita nascendo tra i disagi di un’estrema povertà. Fu molto significativo che Gesù, il Cristo, nascesse nella più dura stagione dell’anno, principalmente per un bambino figlio di una povera madre, la quale non ha, per ripararlo dal freddo, che pochi e poveri panni in cui avvolgerlo; non sa nemmeno dove adagiarlo se non in una mangiatoia con po’ di fieno. E la madre, non avendo altro guanciale su cui egli potesse posare il capo, gli adattò una pietra avvolta nella paglia. Meditiamo quindi sul potere della povertà, dell’umiltà e delle mortificazioni del corpo, abbracciamone di gran cuore la pratica contemplando Gesù come modello di vita.”