Migranti o clandestini? A proposito dell’emergenza immigrazione

Anche le parole hanno il loro peso. Dire migrante e dire clandestino non è lo stesso. Sono sottintesi dietro l’uno e l’altro termine visioni contrastanti, opposte, del fenomeno immigratorio che investe le nostre coste e l’Europa tutta. La domanda è: siamo in presenza di un’emergenza umanitaria che richiede da parte nostra un’ampia e generosa accoglienza o siamo in presenza di una vera e propria invasione, visti i numeri e le proporzioni, che dobbiamo arginare, se non addirittura respingere? La questione è complessa e il dilemma è morale, prima che politico. Se si vuole approcciare il problema da una prospettiva morale, c’è un punto fermo: le persone realmente coinvolte, con tutto il carico della loro umanità dolente. Essi sono profughi da terre insanguinate, migranti economici sfuggenti alla fame, trattati come bestie in Libia, vittime di un razzismo senza remore, spesso oggetto di stupri, violenze ed abusi. Lavorano come schiavi per guadagnarsi la traversata che li porterà dall’altra parte: 7mila dollari per avere documenti falsi, 3mila per il ricongiungimento con parenti all’estero, 1000/1500 per il trasporto marittimo e nessuna garanzia di arrivare vivi. Famelico il mare, che ne ha già inghiottito a decine di migliaia. Famelico il giro d’affari degli scafisti (il cinismo è totale e così il disprezzo della vita umana). Dal 2000 al 2013 sono morti più di 23.000 migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare o via terra. La rotta più pericolosa? proprio quella tra l’Africa e Lampedusa (quasi il 4% di morti e dispersi sul totale di avvistati nel 2012). Barche di morte, stive stracolme di umanità alla deriva, mare che inghiotte sogni e speranze, tombe senza nome e senza fiore. Sollevata la botola delle stive trasformate in fosse comuni, si scopre l’orrore.“E’ un attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia” – ha gridato Papa Francesco al convegno di Scienza & Vita del 30-05-15. Le stragi di migranti interpellano allora la nostra coscienza di credenti e la nostra coscienza di cittadini, perché un popolo civile non manda alla deriva dei bambini, salva quei bambini” (così José Manuel Barroso all’indomani del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013: 366 morti accertati, 20 dispersi). E poi ci sono regole sottoscritte a livello internazionale che impegnano all’accoglienza di chi fugge dalla guerra. Non si possono, pertanto, respingere in alto mare persone non ancora identificate, alle quali non sia stato permesso di inoltrare domanda di asilo. Li si deve far approdare sulla terraferma, laddove sarà effettuato il riconoscimento e avviato l’iter della domanda di asilo (sentenza del 23 febbraio 2012 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Ne va della “credibilità dell’Italia in Europa“, come hanno sostenuto mons. Guerino Di Tora e mons. Gian Carlo Perego, rispettivamente presidente e direttore generale della Fondazione Migrantes. Essi si riferivano però anche ai migranti economici, ai migranti della fame, che sono, in fondo, vittime di un’altra guerra, che forse fa ancora più morti. “Quali sono le cause delle immigrazioni e le cause dei rifugiati? Per le migrazioni, la povertà; per i rifugiati, le guerre. Finché ci saranno povertà e guerre nulla cambierà” – ha osservato mons. Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Siamo di fronte ad un evento epocale, che coinvolge interi popoli, uomini, donne, bambini. E noi che siamo per vocazione geografica terra di mezzo ci troviamo al centro di movimenti di faglia, fra l’Africa giovane che preme sull’Europa con tutto il suo peso demografico e l’Europa che erige muri e si rinserra nella conservazione di un benessere stantio. La crisi dei governi africani, le guerre in Medio oriente, la paura dell’Isis e l’aumento delle frange terroristiche, ci stringono e quasi stritolano. Occorrerebbe una risposta ampia, pianificata, per “trovare un accordo sull’atteggiamento di fondo”, invece di limitarsi a “rattoppare le urgenze” (come ha affermato Mons. Nunzio Galantino segretario generale della Cei), ma l’Europa pare paralizzata dal suo stesso egoismo e divisa a causa degli interessi nazionali dei singoli Paesi. C’è un punto critico che tuttavia va affrontato, pena lo scadimento anche delle più nobili prese di posizione a livello di chiacchiere ideologiche. Se si aprissero indiscriminatamente le frontiere agli immigrati illegali, se, nella fattispecie, lo facesse l’Europa, l’emergenza, non solo non si risolverebbe, ma assumerebbe proporzioni maggiori. I Paesi europei (si veda cosa fanno Francia, Inghilterra, Spagna etc.) sembrano preoccupati soprattutto di questo. L’Italia no, almeno fino all’altro ieri, quando, all’indomani del vertice europeo, anche il nostro governo ha cominciato a porre dei distinguo e a parlare di rimpatri dei migranti non provenienti da aree di guerra.  E’, in effetti, l’entità del fenomeno ad imporre il distinguo. Non si possono, in altri termini, accogliere tutti i migranti indistintamente, visti i numeri enormi e crescenti. Nella misura in cui le proporzioni si ingigantiscono, si moltiplicano anche i problemi economici, sociali, di ordine pubblico, di convivenza e, non ultimo, di civiltà. Sorvolare su questo è non tanto semplicistico, quanto irresponsabile. E’ poi ingeneroso nei confronti della popolazione accogliente, già provata dalla crisi e chiamata a sobbarcarsi sacrifici pesanti, addebitare una sorta di conto da soldare con la storia (secondo una vulgata postcomunista). Ed è, infine, miope ed imprudente non considerare il versante della legalità o glissare sul pericolo terrorismo, che si può agevolmente infiltrare e mischiare nella massa dei disperati, viste carenze o assenze di controlli. In Italia, ad esempio, nel 2014 sono sbarcati tra i 170 e i 180mila immigrati, di cui 64.886 hanno avanzato richiesta d’asilo. Ma nei centri di prima accoglienza ne erano censiti nello stesso periodo 80.150. Pertanto, secondo fonti del ministero dell’Interno, almeno 50/60 mila immigrati sarebbero scappati senza lasciar traccia: immigrati senza nome e cognome e, quindi, senza fedina penale. Scrive Giovanni Sartori: “i clandestini sono persone che vivono in un paese illegalmente, senza titolo né per entrare né per restare. Dal che dovrebbe conseguire che è non soltanto diritto ma anche dovere di uno Stato impedire l’immigrazione clandestina (…) ed espellere chi risiede in un paese senza averne il diritto. Questo, sottolineo, è anche un dovere dello Stato. Se i cittadini sono tenuti a sottostare alle leggi del loro Stato, alla stessa stregua lo Stato li deve tutelare da persone che sfuggono alle leggi e che sono legalmente inesistenti”. Ci sarebbe, conseguentemente, da richiamare quanti allegramente misconoscono il problema alle loro responsabilità anche penali, nel momento in cui dei clandestini commettono reati contro dei residenti italiani. Né si dovrebbero tollerare l’abusività e la piccola criminalità diffuse, che finiscono per alimentare la grande criminalità, italiana e straniera. Il problema è, in tal caso, quello di uno stato che ha derogato alla prima regola fondamentale di uno stato di diritto: la certezza della pena. Provvedimenti indultivi, sanatorie, ipergarantismo dei giudici finiscono per proteggere chi delinque, più che per tutelare i cittadini. Nelle zone d’ombra del nostro sistema giuridico si annida forse il problema più grave, un cancro che sta ampiamente metastatizzando. Mentre statisti, porporati, ministri si atteggiano a moralisti senza fondo, c’è un sottobosco di furbetti del quartiere, che è pronto a trasformare l’emergenza in business dell’assistenza con distruzione di ingenti risorse pubbliche, sottratte ai milioni di italiani disoccupati o in condizione di povertà (“mafia-capitale”, per intenderci!)Due grosse questioni vanno allora affrontate. Innanzitutto, bisogna valutare le garanzie reali di accoglienza dignitosa degli immigrati, a fronte di numeri esorbitanti e crescenti. Detto in modo brutale: cosa possiamo loro offrire? Soldi, casa, lavoro? Un’ospitalità limitata nel tempo o incondizionata? Inoltre, bisogna non forzare l’accoglienza oltre ogni limite ragionevole, sottovalutandone le conseguenze sociali a carico delle “popolazioni accoglienti“. Detto in modo brutale: quante migliaia, se non milioni, di persone il nostro sistema potrà sopportare? L’Italia, di fatto, corre il rischio di accogliere chiunque paghi il pizzo a trafficanti e schiavisti in un’escalation che vede diminuire il prezzo del “biglietto” per la traversata e aumentare gli incassi dei trafficanti. Intanto sale l’intolleranza. In soli 5 anni l’opinione degli italiani è cambiata radicalmente. L’idea che si devono accogliere tutti era condivisa nel 2010 dalla maggioranza (52%) dei cittadini. Oggi, invece, solo il 17% è d’accordo (fonte Renato Mannheimer, Il Giornale del 27). Cresce la percentuale di chi pensa che “gli immigrati sono la principale causa della delinquenza” ed è sempre più seriamente sentito il pericolo che un’immigrazione così massiccia ci privi delle radici culturali, ci snaturi, specie di fronte ad un Islam intollerante, aggressivo e percepito (a torto o a ragione) come violento.

Paolo Pozzuoli