Referendum Gran Bretagna: punto a favore della Grecia!

Tutti i commentatori e gli organi di stampa mondiali sono concentrati sulla vittoria degli inglesi che con il 51,9% dei loro consensi hanno imboccato la strada dell’abbandono dell’Unione europea (Brexit). Certamente i legami del regno d’oltremanica con il continente non cessano da un giorno all’altro, ma viene meno il legame formale e strutturato che fino ad oggi ha consentito alla Gran Bretagna di essere parte attiva e propositiva (magari fastidiosa) nelle decisioni dell’Unione Europea e di essere riferimento finanziario della stessa UE nei rapporti con il resto del mondo. Come è stato ben osservato, dal punto di vista storico abbiamo forse assistito in diretta all’esperimento del suicidio politico di un intero Stato. Il Regno Unito aveva un enorme interesse politico ed economico a rimanere nell’UE. Tutte le organizzazioni internazionali, i centri studi segnalavano costi significativi e conseguenze nefaste in caso di Brexit. Tanto premesso, ritengo che la Grecia rappresenti la vincitrice morale di questa disputa referendaria, avviata in maniera insensata ed opportunistica dal capo del governo inglese David Cameron. Si dirà: cosa c’entra la Grecia in questa faccenda? Che rapporto vi può essere tra le penose vicende economiche e finanziarie della Repubblica ellenica e l’attuale scelta autonomista ed isolazionista di Londra? La Grecia negli ultimi cinque anni ha sopportato gli attacchi delle “Nazioni forti” dell’Unione europea, è stata bistrattata ed incompresa, senza che Germania, Francia ed altre mettessero in campo a tempo debito le necessarie misure di solidarietà. Misure di solidarietà che, adottate tempestivamente, sarebbero costate molto meno delle ingenti risorse messe svogliatamente in campo in epoca successiva rispetto all’entrata in crisi delle finanze greche. Non parlo qui degli immensi danni fatti ai risparmiatori europei che hanno sofferto il quasi azzeramento dei loro investimenti in titoli dello Stato greco, nel disinteresse colpevole di Bruxelles e Francoforte. Proprio questo atteggiamento menefreghista e tardivo ha contribuito a far scemare la fiducia degli europei verso le entità centrali dell’UE. Ciò nonostante la Grecia, pur soffrendo per una crisi che ha coinvolto pesantemente larga parte della popolazione, non ha mai pensato di lasciare l’Unione Europea, dimostrando fermezza, intelligenza e lungimiranza, doti che sono mancate ieri alla maggioranza degli inglesi, convinti che da soli, con le nuove libertà di manovra, potranno meglio dialogare con il mondo e pesare – politicamente e finanziariamente – nella misura sperimentata nei secoli passati. La storia, però, percorre in maniera ineffabile ed intransigente il suo percorso e difficilmente ricicla le esperienze registrate nelle epoche trascorse. A seguito dello scompiglio politico che caratterizzerà il futuro della Gran Bretagna, immagino che nei prossimi anni potrebbe porsi in quel Paese anche la questione istituzionale concernente la scelta tra Monarchia e Repubblica, per cercare in qualche modo (magari insensato ed inefficace) di sanare le tante differenze ed insopportabili disuguaglianze – di casta, finanziarie, sociali – diffuse a piene mani in quel che resta dell’impero britannico che fu. La stampa internazionale riporta una simpatica, confortante notizia di ieri: gli inglesi, in particolare i giovani, hanno raccolto ed inviato circa due milioni di firme per richiedere al loro Parlamento di indire subito un “nuovo referendum riparatore” che trattenga il loro Paese nell’ambito dell’Unione Europea. Questo in virtù del fatto che il referendum del 23 giugno 2016 ha registrato una prevalenza di voti comunque inferiore al 60%, circostanza che consentirebbe di richiedere una nuova pronuncia popolare sul medesimo tema. Credo proprio che gli inglesi riusciranno nel loro intento e daranno una lezione ai tanti sapientoni, svogliati ed amareggiati ultrasessantenni dell’impero britannico che fu.
Sàntolo Cannavale