Il localismo che uccide la politica

Angelo Cennamo

A poco più di un mese dalle elezioni regionali lo stato di salute dei nostri partiti non sembra volgere al meglio. Il Pd di Matteo Renzi  annaspa tra le riforme mancate e gli espedienti contabili del Def, utili a  dimostrare una riduzione del carico fiscale ( primo problema del Paese) che di fatto non esiste, anzi. Il dato nazionale – per quanto oggi faccia registrare un calo rispetto all’inarrivabile 40% delle europee – tutto sommato è rassicurante, anche nella prospettiva del medio periodo, ma da Roma in giù i Democratici devono fare i conti con una serie di disavventure giudiziarie e non solo che minano la credibilità e la trasparenza di una forza politica che in Renzi sembrava aver trovato un rottamatore ed un innovatore senza precedenti. Le vicende campane di Ischia, Ercolano e Salerno ( con De Luca), in particolare, offrono un quadro a tinte fosche di una classe dirigente ancora vincolata alle vecchie logiche della prima Repubblica ed incline ad inconsueti trasversalismi che non lasciano più distinguere all’elettorato la differenza tra destra e sinistra. Come scrive Massimo Franco sul Corriere, la sensazione è che a vincere sia la “periferia” non governata, immutabile e misteriosa nei suoi gangli più oscuri. Ma la disgregazione del centralismo politico, per altri versi e con altri effetti, si sta palesando anche nel centrodestra berlusconiano, alle prese con una crisi di transizione che dura oramai da 4 anni e che vede il vecchio leader carismatico in guerra contro tutto e tutti pur di restare in campo e difendere la titolarità del vertice. La Puglia è lo scenario più loquace di un crisi apparentemente irreversibile, alimentata da una serie di errori tattici dopo i quali è arduo intravvedere possibili ricomposizioni in vista della sfida complicata contro Michele Emiliano, probabile vincitore delle elezioni. Forza Italia in questo momento è un cantiere aperto e scrutare nel suo futuro è praticamente impossibile. Nei sondaggi si attesta tra il 12 e il 13% – risultato sorprendente per un  partito  completamente afono ed immobile dalla fine del 2011 – ma pur sempre deludente rispetto ai vecchi fasti. L’elettorato di centrodestra in parte si è rintanato nell’astensione. Altri si sono riversati sulla Lega di Salvini, che però non sfonda e non sfonderà il muro fisiologico del 15%  (Francia docet). Cresce Fratelli d’Italia – ma si tratta di pochi decimali, decresce l’Ncd di Alfano, destinato alla dissoluzione prima ancora delle prossime politiche. Mettere insieme i cocci del fu centrodestra oggi è quasi un’illusione: l’Europa, l’euro, l’immigrazione, la globalizzazione, stanno offrendo al dibattito politico nuove declinazioni prima semisconosciute. In più la leadership carismatica ed illuminante di Berlusconi sembra avere perso lo smalto degli anni ‘90 e 2000. E allora, nell’attesa che i partiti ritrovino forza, coesione e credibilità, non restano che le liste civiche e i movimenti organizzati dai soliti capibastone sul territorio, quella società “incivile” che lotta per cambiare affinché nulla cambi