“1992” e la serialità che finalmente racconta l’Italia

Amedeo Tesauro

Dopo una lunga attesa e una promozione senza precedenti per intensità martedì sera ha debuttato su Sky la serie TV “1992”. Per chi fosse sfuggito all’assalto mediatico messo in moto dalla pay-tv di Murdoch il tema del racconto è presto detto e suggerito dal titolo: Tangentopoli e l’Italia di Mani Pulite. Nel serial si intrecciano varie storie nel Bel Paese di quegli anni, ancora ebbro dei fasti degli anni’80 e pronto a sfasciarsi di fronte alla realtà che viene a galla, ovvero quel sistema di corruzione politico-imprenditoriale che mazzetta su mazzetta crolla su se stesso. Sky evidentemente ha preso gusto, dopo i successi di altri serial televisivi prodotti (in origine fu Romanzo Criminale, all’anno scorso risale invece il boom di Gomorra) la tv a pagamento firma, dati di ascolto alla mano, un altro successo seriale. Al di là dell’esito della serie e le sue storie, finora sono soltanto due le puntate trasmesse, ciò che rende appetibile “1992” è l’idea che non sia la solita fiction italiana. Lo stesso termine fiction rimanda a un immaginario di preti investigatori, racconti pseudo-educativi e biografie buoniste che impazzano nella tv pubblica ottenendo ancora molto successo, ma lontani da tutta una nuova generazione di spettatori cresciuti con le produzioni americane. Non c’è niente di male in una puntata di Don Matteo o nella storia di Modugno vista alla tv (in queste settimane in programmazione), ma ci si muove nei terreni scontati della tradizione italiana che giocoforza non punge, non affonda e ammanta tutto di buoni sentimenti che non rendono giustizia a vicende e personaggi, ma soprattutto a spettatori che si ritrovano poi a fare i conti con prodotti esteri totalmente differenti. “1992” in tal senso di allontana da quell’immaginario italiano per abbracciare il più nobile mondo del serial straniero, eppur tuttavia è profondamente italiano, è nostro sia per produzione sia per la scelta di ciò che racconta, ovvero un pezzo di storia italiana. Il passo in avanti è enorme, finalmente la narrazione televisiva italiana trova il coraggio di proporre un qualcosa di nostrano ma con un intento qualitativo proprio dei grandi network statunitensi e inglesi. Del resto, come già si accennava, i risultati per Sky sono stati più che incoraggianti: l’epopea criminale di Romanzo ha raccontato l’Italia dagli anni di piombo in avanti intrecciando, seppur con tutte le licenze del caso e a volte in maniera confusa, il costume e la storia di quegli anni; Gomorra ha saputo gettare uno sguardo essenziale sulla malavita negli ambienti dominati dalla Camorra, creando intrattenimento televisivo ma garantendo anche la giusta dose di denuncia sociale riuscendo ad evitare, quasi sempre, la retorica. Sullo schermo prende vita un racconto fatto con una professionalità e una tecnica vista all’estero, ma ciò che si vede è italiano come mai prima. Curiosamente alla stessa Sky dobbiamo una serie comica cult, cioè quel Boris approdato poi anche al cinema, che ironizzava proprio sul tradizionale sistema produttivo italiano, quello delle fiction di santi, eroi, e buoni sentimenti. Dalla lente deformate della comicità fuoriusciva l’immagine un sistema arretrato volto sempre al raggiungimento del minimo risultato, l’ascolto facile, a scapito di una “qualità” che non solo non si raggiungeva ma non si puntava nemmeno a raggiungere. A livello di tv pubblica ancora si è lontani dal ribaltare quell’immagine, ma quantomeno sulle pay-tv il salto per approdare a una nuova televisione è stato compiuto, un necessario balzo verso una produzione di qualità che finalmente dica qualcosa di rilevante sul nostro paese.