Il Vaffa Day di Salvini

Angelo Cennamo

Il comizio romano di Matteo Salvini traccia un solco profondo tra la Lega del dopo Bossi e Forza Italia, e riduce al minimo le probabilità che il centrodestra conosciuto fino ad oggi possa riproporsi nelle stesse forme nei futuri appuntamenti elettorali. Per quanto la calata dei Lumbrd nella Capitale fosse accompagnata dalla solita e generosa narrazione della stampa progressista in chiave reducistica, nel timore o convinzione che la partecipazione di CasaPound facesse deflagrare la manifestazione in una vera e propria guerriglia urbana – l’ennesima dopo il danneggiamento della Barcaccia di Piazza di Spagna, la giornata leghista, in realtà, è scivolata via in modo ordinato, senza  incidenti né scontri. Ma chi si attendeva dal palco di Salvini e dei suoi compagni di viaggio un discorso politico di alto profilo che lasciasse intravedere una prospettiva di buon governo alternativa a quella del Pd renziano, è rimasto deluso. Lasciando da parte le poche parole biascicate dal leader di CasaPound – evidentemente non avvezzo a certe adunate pubbliche – Salvini ha intrattenuto il suo popolo (all’incirca 50 mila persone) con un eloquio da antagonista – a tratti  da commando ultrà – più che da autentico statista. Quello di Salvini è stato un discorso fatto perlopiù di slogan, urlati alla pancia dei presenti secondo un rituale visto e rivisto nei Vaffa day di Beppe Grillo.  E’ probabile che la Lega del nuovo corso voglia proprio attingere a quell’elettorato, lo stesso dei 5 Stelle, in parte deluso dall’autismo perseverante dei Di Maio e dei Di Battista, incapaci di tradurre l’ampio consenso ricevuto in questi anni in alleanze proficue e in atti tangibili. E di trasformarlo in un fronte unico, di stampo lepenista, incentrato sul ritorno alla lira e sull’abbattimento della Ue.  Salvini è un ragazzo semplice, senza sovrastrutture, e a differenza di altri politici di mestiere, non indulge al tatticismo. La sua dote migliore, ma anche la peggiore, è la sintesi. Come ha spiegato Marcello Veneziani al Corriere della sera, Salvini parla attraverso le felpe che indossa. Questo per certi versi lo rende simpatico e credibile, ma nello stesso tempo anche “fragile e transitorio” rispetto ad altri leader. Il messaggio di quelle felpe è diretto soprattutto al mondo degli artigiani, dei commercianti,  degli agricoltori e dei professionisti. Ovvero a quei “piccoli” che la sinistra radical chic e la destra moderata hanno trascurato negli anni peggiori della crisi internazionale per abbracciare politiche più globaliste, nel solco della tecnocrazia franco-tedesca di Merkel, Hollande e Junker. Al contrario, la destra di Salvini è rozza ma pragmatica. Dell’Europa e dei banchieri se ne infischia e l’idea della Padania l’addomestica con quella delle Italie diverse del Veneto, del Salento e della Sicilia. Legge pochi libri perché il tempo lo dedica al lavoro e alla famiglia, quella tradizionale si intende. E alle moschee preferisce campanili e presepi. Dove può arrivare Salvini con il suo fronte nazionale in salsa bergamasca? I sondaggisti più esperti dicono che con l’attuale 13/15% ha già toccato il suo punto più alto. Sarebbe troppo poco per governare il Paese ma abbastanza per negoziare la difficile alleanza con Forza Italia,oggi più che mai erosa dal riformismo moderato di Renzi e dal populismo ruspante della nuova Lega d’oltrepò.