“Je suis Charlie” ed i media: il momento d’ alzare la voce

Amedeo Tesauro

Chi ha parlato di 11 settembre europeo per definire la tre giorni parigina del terrore certamente non intendeva fare un paragone numerico. Le migliaia di vittime del World Trade Center hanno in comune coi diciassette morti francesi la lettura che degli eventi è fatta, ovvero l’attacco al cuore dell’Occidente da parte del fondamentalismo islamico. Sul tema della “guerra di civiltà” o “guerra dei mondi” si è detto e si dirà tanto, certo è che quantomeno una parte del mondo islamico punta a distruggere il modello occidentale, e tanto basta per stare in guardia. Sull’esistenza o meno dell’Islam moderato le visioni si contrappongono, del resto non si può pretendere di semplificare una religione con un miliardo e mezzo di fedeli a un paio di distinzioni di comodo, fatto sta che mai come oggi è il momento per quell’Islam, se esiste davvero, di dissociarsi in maniera esplicita, non con generiche indicazioni, da quanto sta avvenendo. Da più parti si è chiesto all’Islam moderato di far sentire la propria voce, eppure la voce dovrebbero farla sentire innanzitutto in Occidente dove la reazione alle notizie parigine è stata solo all’apparenza unanime. Difatti non si può considerare un attacco come un altro quello al magazine satirico Charlie Hebdo, non ha lo stesso equivalente di un attentato a un bersaglio qualunque, troppo peculiare e indirizzata la scelta dell’obbiettivo per non soffermarsi sul significato simbolico dell’assalto. Se New York e le sue torri rappresentavano gli Stati Uniti e il suo modello di società, Charlie Hebdo richiama la libertà d’espressione e la libera possibilità di dire la propria. Colpire un giornale è un messaggio ben preciso, colpire una rivista satirica lo è ancora di più, un ordine tassativo a tenersi alla larga da certi argomenti, una questione di principio prima ancora che una questione pratica. Ecco perché risulta straniante il rifiuto di tanti media di pubblicare le vignette incriminate, un atteggiamento non in linea con la solidarietà internazionale del grido “Je suis Charlie”. Se difatti la questione è per davvero questione di principio, al di là del risultato effettivo (le tavole di Charlie Hebdo sono spesso estremamente discutibili), allora la risposta a chi attacca la libertà d’espressione tanto rivendicata in questi giorni era proprio dare la notizia degli assalti con tanto di vignette (in Francia è stato così). Invece, un po’ per paura e un po’ per non offendere nessuno, su tanti giornali le immagini sono state censurate, sfocate accuratamente, non mostrate. Nel mezzo di una rivendicazione generale, il diritto di esprimersi non limitato e intimorito dalla violenza, la prima censura è arrivata proprio da chi voleva difendere quel diritto. “Je suis Charlie”, ma con misura. Foto unionesarda.it

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