Il raptus non esiste
Dott. Susanna Petrassi, criminologa
Notizie di cronaca degli ultimi anni hanno riportato riferendo casi di omicidi, perlopiù avvenuti in famiglia, come da attribuirsi ad un raptus improvviso. Bene, va sgombrato il campo da equivoci: il raptus non esiste, esiste l’atto finale imprevisto di un percorso di disagio psichico, spesso ben celato perfino ai familiari più stretti e alle persone che abitualmente si frequentano, perché tali soggetti nascondono a tutti la loro situazione borderline, al limite della psicosi. Possiamo paragonare la mente umana ad una pentola a pressione. Le emozioni rappresentano una incessante spinta ad agire che continuamente la mente della persona deve controllare ed arginare per renderla compatibile con le regole del vivere sociale, con l’aumento progressivo ed incessante delle emozioni, senza valvole di sfogo, prima o poi esploderà, L’azione delittuosa è finalizzata allo scarico ed alla liberazione in modo aggressivo e violento di emozioni negative a lungo covate. L’innesco di ciò che viene chiamato raptus è la percezione assoluta ed acritica dell’ostilità nell’ambiente e nelle persone che vivono intorno, ostilità non più tollerabile né sopportabile. La realtà circostante è identificata come un nemico su cui scaricare tale rabbia.
Episodi di violenza imprevista ed impulsiva hanno spesso come oggetto gli individui più fragili, e indifesi come le donne e i figli. Non di rado all’omicidio, anche multiplo può seguire il suicidio dell’autore.
La psichiatria esclude l’esistenza del raptus, lo considera una definizione senza senso, che, però è molto usata nelle perizie forensi per giustificare le azioni efferate ed attenuare la gravità del fatto e la colpa di chi le commette: se anche l’assassino è responsabile del delitto, non è giuridicamente imputabile.
Nelle persone borderline la perdita del controllo può essere addebitata al fatto di essere essere state lasciate sole di fronte allo stress che la gestione di alcune situazioni ansiogene procurano.
Di contro dobbiamo accettare il fatto che la malvagità e la cattiveria esistono nell’uomo e non è sempre possibile nasconderle dietro la follia. Quando accade un fatto di grande violenza apparentemente improvvisa c’è sempre un motivo che si è costruito nel tempo.
Dietro il delitto estemporaneo ci possono essere, dunque, sia il disagio psichico sia la cattiveria, potenziate talvolta dall’uso di droghe e alcol, e non sono sempre del tutto incompatibili con la pianificazione. Arriva quando il soggetto è saturo di stress e frustrazioni, con pregressi contatti con strutture psichiatriche o no. Spesso i vicini si meravigliano a posteriori e descrivono il reo come normale e tranquillo, increduli sul come abbia potuto commettere un atto tanto abominevole. Talvolta poi la cosa capita, perfino in esponenti delle forze dell’ordine.
Alla base c’è una perdita di lucidità, frequente nei disturbi depressivi, una continua rimurginazione che riduce le capacità di concentrazione e di autocontrollo e una temporanea incapacità di auto-coordinarsi. Il delitto avviene quasi sempre con un’arma impropria, trovata sul posto, oppure per strangolamento o soffocamento, o con pugni, calci, sbattimenti vari, con presenza anche di overkilling, cioè un numero eccessivo di colpi sferrati, rispetto alla dose sufficiente, per dare all’autore la sensazione della morte, di aver ucciso: è l’incapacità a fermarsi che è tipico del delitto irrazionale, disorganizzato, emotivo.
Nel caso di madri figlicide il ripetere, dopo, continuamente la frase “non sono stata io, non sono stata io” ha un senso solo se inquadrata nel conflitto interiore che la donna vive dentro di sè. ripetersi ciò è l’ultima difesa della loro psiche dalla sconvolgente consapevolezza di essere state loro a compiere il gesto.
La rabbia è la tipica emozione con tendenza all’azione che spessissimo è dietro un atto omicidiario d’impeto. Si tratta di un’ emozione primitiva precoce osservabile pertanto in bambini molto piccoli e riscontrabile anche in specie animali diverse
La rabbia rappresenta la reazione tipica alla frustrazione e alla costrizione fisica e psicologica, ma perché si origini è necessario un altro importante fattore e cioè la responsabilità che si attribuisce alla persona che induce tale frustrazione o costrizione. Ancor più delle circostanze concrete del danno, quello che più pesa nell’attivazione reattiva è la volontà che si attribuisce all’altro di essere di nocumento e la percezione dell’intenzionalità di ostacolare l’appagamento di un bisogno.
La sequenza della collera agita in un delitto comincia con uno stato di bisogno e continua con la sensazione della presenza di un oggetto (che si oppone alla realizzazione di tale bisogno e l’attribuzione a tale oggetto dell’intenzionalità di opporsi, poi l’assenza di paura verso l’oggetto frustrante, quindi una forte intenzione di attaccarlo e infine la realizzazione dell’aggressione.
Un attacco di rabbia riguarda la frustrazione di attività che erano connesse con l’immagine e la realizzazione di sé. Lo scopo in questo caso sembra più rivolto a modificare un comportamento che non si ritiene adeguato. Nella persona sana l’arrabbiarsi, motivando chiaramente le motivazioni dello scontento, senza agire la violenza, è il modo per ottenere un utile cambiamento.
Il doloroso sentimento del rancore, invece, è molto comune fra i timidi che non riescono ad esprimere apertamente la rabbia, nè a dimenticare nè a perdonare. Il risentimento è un sentimento amaro, ossessivo, che spinge alla vendetta, anche se difficilmente si traduce in esplicita aggressione. Offusca la percezione della realtà dato che è filtrata da questo bisogno intenso e segreto di ritorsione.
In casi estremi anche il risentimento può portare all’omicidio, ma quasi mai d’impeto come nel caso di una violenta esplosione di rabbia, ma premeditato. Quando invece è d’impulso esso avviene generalmente perchè un fattore ritenuto intollerabile e scatenante si aggiunge ad una serie di frustrazioni e fallimenti, e il sordo rancore covato per molto tempo esplode. Il sentimento di oppressione che frustra e schiaccia togliendo ogni sensazione di libertà e serenità può avere origine nelle importanti figure dell’infanzia e proiettarsi poi di volta in volta su altre figure che sono importanti per il soggetto riattivando antichi modelli oppressori e sovrastanti. Tali modelli sono percepiti come invasori perchè limitativi della libertà e fortemente destabilizzanti in quanto racchiudono in sè ambiguamente anche il naturale amore verso le figure genitoriali seppure negative.