Sant’Agnello di Napoli e l’arcangelo Michele

don Marcello Stanzione

Le prime notizie su Agnello che la Chiesa celebra liturgicamente il 14 dicembre, il giorno dopo santa Lucia, sono state scritte nel X secolo da un suddiacono di nome Pietro che, essendo stato guarito da una grave malattia, volle comporre un Libelus miracolorum,  un libretto dove sono descritti dei miracolo ottenuto per intercessione del santo unitamente a notizie biografiche. A questo testo si ispirarono il lezionario dell’ufficio del santo e le successive Vite che aggiunsero altre notizie, come ad esempio l’intervento miracoloso, dopo la morte, per liberare Napoli dall’assedio dei Longobardi. L’anno della nascita di Agnello viene fissata intorno al 535 nella città di Napoli. I genitori, di origine siracusana e forse discendenti di santa Lucia benedirono il Signore che aveva esaudito le loro preghiere per la nascita di questo figlio per tanti anni desiderato. La madre Giovanna, temendo di essere sterile, si era recata a pregare la Madonna all’edicola unita alle mura della città, là dove vi era una volta il tempio di Diana, protettrice di Napoli e quando ormai aveva perduto ogni speranza se non in un miracolo, sentì una voce che le annunciava che a presto avrebbe avuto un figlio benedetto da Dio e benvoluto dal popolo. A ricordo di tale prodigio sul luogo fu eretta una edicola che successivamente fu trasformata in chiesa: Santa Maria Intercede pro miseris. Il suddiacono Pietro, parlando della fanciullezza del santo dice che, sin dalla tenera infanzia, vivendo con somma innocenza e desiderando ardentemente di portare avanti una vita spirituale, assecondò l’azione dello Spirito Santo nella sua anima e si dimostrò irreprensibile nell’adempimento della legge divina. Così all’età di quindici anni, lasciata la casa paterna, si ritirò a vivere in solitudine, in una grotta vicino alla chiesa di Santa Maria Intercede, fuori le mura della città di Napoli. Ivi rimase per molto tempo, vivendo nella contemplazione e nell’esercizio di pratiche ascetiche e penitenziali. Dopo aver perso i genitori, fondò con l’eredità un ospedale per i poveri sofferenti dove avvenne il suo primo miracolo. Un giorno un ladruncolo osò rubargli una gallina dell’ospedale. Ma venne sorpreso dal santo che lo rimproverò. vistosi scoperto, il ladro reagì malamente aggredendolo. Non l’avesse mai fatto! Rimase con un bracci paralizzato mentre gli si oscurava la vista. Spaventato chiese perdono e aiuto al santo che, raccoltosi in preghiere riuscì ad ottenere la sua guarigione. (Cattabani). Intanto gli Ostrogoti stavano per avvicinarsi alla città e tutti temevano per un massacro. Correva l’anno intorno al 553 e l’esercito bizantino e quello degli Ostrogoti, comandato da Teia, il successore di Totila, si scontrarono nei pressi della città. I napoletani terrorizzati si rivolsero al santo, ormai popolare, chiedendogli aiuto; e Agnello li rassicurò dicendo che la città sarebbe stata risparmiata. La battaglia si concluse con la sconfitta dei Goti e la morte di Teia. Napoli era salva. Per esprimergli la sua gratitudine il popolo volle sistemare una sua statua presso la chiesuola di Santa Maria Intercede. Non s’era mai visto nulla di simile per una persona ancora vivente. Ma egli, giustamente imbarazzato, la fece poi abbattere. Alcuni storici hanno voluto correggere questo intervento di Agnello. Esiste a Napoli una chiesa intitolata a Sant’Agnello a Segno in via dei Tribunali le cui origini risalgono proprio a questo periodo quando Agnello bloccò prodigiosamente l’invasione degli Ostrogoti innalzando un’insegna con la croce cristiana e affidandosi all’intercessione di san Michele arcangelo. A questo episodio è collegata anche la denominazione “a segno”: sulla soglia della chiesa fu infisso un chiodo a testimoniare il limite dell’avanzata degli Ostrogoti. Oggi, del chiodo, non vi è più alcuna traccia, ma a ricordare questo episodio resta una lapide posta sulla porta d’ingresso (De Lellis, Aggiunta alla Napoli Sacra del d’Engenio,ristampa 1077 p. 301). Tenendo presente questo episodio si riesce a capire il comportamento successivo di Agnello. Infatti,m siccome la sua fama aumentava di giorno in giorno, decise di allontanarsi dalla città affidando l’ospedale ai discepoli. Prese la strada verso oriente ed arrivò sul Gargano presso la grotta si san Michele dove volle ringraziare l’arcangelo per l’aiuto ricevuto. Non partì subito, ma  trovando rifugio in una delle tante grotte che allora erano presenti nelle vicinanze del santuario, volle restare per un po’ di tempo conducendo una vita eremitica. L’ambiente gli era congeniale. Aveva di fronte l’immagine della montagna che richiamava l’idea del silenzio, del distacco dal mondo, così pure il salire e lo scalare un pendio prefigurava quel cammino di preparazione, dell’animo e del corpo, spesso faticoso e difficile, che occorre intraprendere per arrivare all’incontro con Dio. Notizie certe del tempo rimasto come eremita a pregare non ve ne sono, ma  certamente, quando poi decise di partire, portò nel suo cuore la particolare devozione verso l’arcangelo Michele e lasciando un ricordo della sua presenza in un luogo che gli abitanti di Monte Sant’Angelo tradizionalmente chiamano tuttora “Grotta di sant’Agnello”. Lasciato il Gargano, arrivò poi tra i monti sanniti, in una grotta che si trovava non lontano da Alatri, a Guarcino, dove è sorto un santuario frequentato dalla popolazione della zona, di cui Agnello è patrono. In quel luogo visse per sette anni, fino a quando la vergine, apparsa in sogno, non lo invitò a tornare a Napoli. Fu allora che entrò nel monastero basiliano fondato da San Gaudioso, un vescovo africano del V secolo. Qui divenne monaco e poi sacerdote ed infine abate. Agnello morì dopo qualche anno intorno all’anno 595 il 14 dicembre, che divenne il giorno della sua festa.  Un altro episodio miracoloso merita di essere ricordato simile al precedente; soltanto che il primo intervenne da vivo invece il secondo da santo. Nell’821 la città di Napoli venne assediata dal longobardo Sicone che non riuscì a espugnarla grazie all’intervento di Agnello e dell’arcangelo Michele che apparvero sugli spalti delle mura terrorizzando gli assalitori. In ricordo di quell’avvenimento si cominciò a raffigurare il santo con lo stendardo in mano. Quell’avvenimento non soltanto accrebbe la devozione dei napoletani nei suoi confronti, ma spinse clero e popolo a venerarlo come compro tettore della città e a stabilire una solenne processione annua in suo onore.