Papa Francesco, Don Leone e Toni Negri

 Aurelio Di Matteo

Correva l’anno 1980. Toni Negri era rinchiuso nel carcere di Rebibbia in seguito agli arresti operati il 7 aprile dell’anno precedente. Padre Leone, parroco di Andretta, piccolo comune dell’Alta Irpinia, cominciava un intenso rapporto epistolare con il filosofo. Tra i due si stabilì un simpatetico affettuoso legame di idee e di aspirazioni, di prospettive politiche ed etiche, agite nell’utopia dell’amore-agape francescano quale fondamento ontologico dei rapporti intersoggetivi. Una religiosità che riscopre l’originario messaggio Cristiano percorre il pensiero di entarmbi. Quel rapporto fu guardato con poco entusiasmo dalle autorità religiose, che non sempre apprezzavano l’azione evangelica che Don Leone Maria Iorio svolgeva, tanto che non mancarono espliciti ed ufficiali “richiami” affinchè  il parroco abbandonasse la sua intensa opera di “soccorso” alle migliaia di persone che quasi quotidianamente affollavano la chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, dove egli esercitava la sua funzione di parroco e che ben presto era diventata meta di un pellegrinaggio di fedeli e di sofferenti in cerca di un miracolo che potesse dare loro ciò che la scienza e la società non erano in grado di offrire o di risolvere . Fu un rapporto intensissimo tra due personalità diverse, ma che ritrovarono una sintonia umana e politica in percorsi di vita e di pensiero paralleli, segnati da una  comune utopia politica in nome dell’amore e del riscatto sociale degli umili e degli oppressi. È un rapporto epistolare, ma anche un incontro di vita e di pensiero, rievocato, discusso e riportato nel recente volume dello scrivente – Don Leone e Toni Negri – edito da D&P Editori. Quasi mai quest’azione del parroco fu intesa nel suo valore sociale e religioso, soprattutto da chi riteneva che compito della Chiesa dovesse essere un interclassismo neutrale e l’agape predicata dal Cristo uno sporadico atto di generosità. Scriveva il parroco in un suo manoscritto, ivi pubblicato, che in quell’incontro con Toni Negri “non presumo di giudicare e convertire, ma per convertirmi scuotendo l’ignavia più colpevole della violenza perchè impunita (…….) Ringrazio gli amici di Rebibbia (il riferimento è a Toni Negri e agli altri appartenenti ai movimenti extraparlamentari) per lo stimolo del loro fuoco operativo”. Era la scelta di una Chiesa che si schiera dalla parte dei poveri e degli esclusi, una  concezione dell’uomo che non disgiunge mai nella visione religiosa del Cristo sulla Croce, quale salvezza e redenzione spirituale, quella politica quale rivoluzione sociale, riscatto degli umili, nascita di una nuova Comunità, in cui le relazioni siano fondate ontologicamente sull’amore. Questa sostanziale concezione dell’uomo e del genuino messaggio cristiano gli consentì, in un percorso “parallelo”, di essere “insieme” con Toni Negri. Dirà Toni Negri nella conclusione (pagg. 381-387) del suo fondamenatale Impero: “Questa militanza resiste nei contropoteri e si ribella proiettandosi in un progetto d’amore. C’è un’antica leggenda che potrebbe illuminare la vita futura della militanza comunista: la leggenda di san Francesco di Assisi. Vediamo quale fu la sua impresa. Per denunciare la povertà della moltitudine, ne adottò la condizione comune e vi scoprì la potenza ontologica di una nuova società. Il militante comunista fa lo stesso nel momento in cui identifica nella condizione comune della moltitudine la sua enorme ricchezza. (…..)  Stiamo producendo un mondo nuovo, una nuova socialità. L’essere, in altre parole, non è un sottofondo immutabile sulla base del quale si svolge la vita, quanto una trama vivente di relazioni su cui abbiamo il potere di intervenire. L’amore è un evento ontologico nella misura in cui, creando nuovo essere, segna una rottura con ciò che esiste. L’essere è costituito dall’amore. [……] Affermare che l’amore è ontologicamente costitutivo, significa semplicemente che esso produce il comune.” Oggi quelle stesse idee e quelle stesse parole che furono a base dell’incontro epistolare e umano con Toni Negri e che ispirarono la vita, il pensiero e l’azione di Don Leone, di questo umile ma grande e santo parroco, purtroppo  dimenticato proprio dalla Chiesa, sono le stesse che Papa Francesco ha pronunciato nell’incontro con i movimenti popolari, invitandoli a “continuare la propria lotta” perchè “fa bene a tutti”, aggiungendo “Strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista” e invece “l’amore per i poveri è al centro del Vangelo”. Don Leone Maria Iorio, ben trenta anni fa, come oggi Papa Francesco, aveva riportato la Chiesa alle origini, diffondendo e praticando il messaggio originale del Cristianesimo. Che aspettano le Autorità religiose e la Comunità ecclesiale dell’Alta Irpinia a riparare alla dimenticanza e all’oblio in cui hanno relegato questa grande figura di sacerdote, di predicatore dell’originaria parola del Cristo e di operatore di autentica carità cristiana, ricordando e facendo rivivere quei granelli di santità diffusi a piene mani negli anni della sua vita di pastore di anime e di alleviatore delle sofferenze umane?