La Leopolda è meglio di niente

Angelo Cennamo      

Sabato scorso il partito democratico ha vissuto una storica scissione. Una scissione culturale che ha separato, forse per sempre, la parte renziana da quella più conservatrice e legata al mondo sindacale. Il nuovo Pd, per meglio dire, la sua parte agile, liquida e twittarola, costruita ad immagine e somiglianza del giovane premier, ha affollato gli spazi della Leopolda – la vecchia stazione ferroviaria di Firenze – dove si è aperta la solita kermesse post ideologica che cinque anni fa ha portato alla ribalta il presidente del consiglio. L’altro Pd, quello delle Rosy Bindi, dei Bersani e dei Cuperlo, ha preferito invece aggregarsi alla manifestazione di piazza indetta dalla Cgil proprio contro il modello  “thatcheriano”, secondo la definizione di Susanna Camusso, che Renzi starebbe applicando al governo del Paese, dopo aver sgominato e rottamato la vecchia guardia del partito. I due eventi, stranamente concomitanti e così diversi tra di loro, hanno sancito una spaccatura non solo fisica e visiva, ma soprattutto ideale all’interno di quella che è storicamente la sinistra meno riformista d’Europa, finendo per rubare la scena a una destra silente, annichilita, nonostante il clamoroso sussulto liberal di Berlusconi. A proposito di destra, non vi sarà sfuggito l’ultimo predellino del Cavaliere, ovvero l’annuncio di ricostruire intorno a sé e alla sua leadership inossidata una nuova Forza Italia, pronta a scontrarsi con il Pd di Renzi, dopo l’esilio di Cesano Boscone e l’agognata riabilitazione in terra europea. Non ci sembra vero. E’ mai possibile che Forza Italia debba passare alla storia come l’unico partito al mondo non scalabile, la cui leadership non sia tecnicamente contendibile? Cosa resta oggi agli elettori forzisti, stremati e disorientati dalla perpetuatio del settantottenne Berlusconi che minaccia di ricandidarsi anche nel 2018? Cosa rimane oltre lo sfoggio del giovanilismo gaudente, tra Dudù e la brillante fidanzata, e la cooptazione dell’amico-nemico Renzi al governo della Nazione sotto le mentite spoglie del patto del Nazareno? Poco o nulla. Il leghismo in salsa Pound del carismatico Salvini?  Il fiero e autarchico nazionalismo della Meloni, che sogna il ritorno alla lira e sbraita contro le unioni civili? O forse il molle e ministeriale riformismo di Angelino Alfano, immagine sbiadita del centrismo liofilizzato di Cesa e Buttiglione? Tristi scenari. E allora, cari amici liberali, aspettando che la destra rinsavisca, con altre idee e magari con nuovi leader, non ci resta che l’effervescente luogo del cazzeggio, la dimensione virtuale e mai dogmatica del dibattito su come si può immaginare, se non altro, il nostro futuro. La Leopolda.  

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