Dialogo PD-M5S: quando la guerra si fa con le armi degli avversari

Amedeo Tesauro

Nell’apertura di Beppe Grillo al Partito Democratico sta tutta l’ansia di riposizionarsi, finalmente in maniera costruttiva, dopo l’insuccesso elettorale e i turbolenti strascichi di quel risultato. Si tratta dello slancio febbrile di chi cerca il riscatto veloce e immediato, consapevole che la prossima mossa sta a lui. Ed i pentastellati di mossa ne hanno già fatta una, controversa e discussa, in merito alle alleanze europee: sì all’UKIP di Nigel Farage attraverso il referendum indetto sul blog dell’ex comico. Già, il referendum online, lo strumento di democrazia diretta che accende gli animi sulla sua effettiva validità, un  metodo ambiguo che si somma alle necessità basilare di formulare le domande corrette sperando che chi risponda abbia la giusta conoscenza del quesito. Ecco perché ha destato una certa sorpresa la voce di corridoio di un possibile referendum online sulla RAI proposto dal governo, votazione che verterebbe sul canone, le riforme strutturali e la questione onnipresente di una possibile privatizzazione. Subito sono venuti fuori i medesimi dubbi che animano i referendum online organizzati da Grillo e i suoi: ha davvero senso? Si può davvero pensare che il cittadino medio abbia la giusta competenza per valutare i provvedimenti più efficaci da attuare per gestire l’operatore pubblico italiano, nonché una delle più grandi aziende di comunicazioni europee? Il rischio è che tutto si banalizzi in un genuino populismo, a cominciare dall’abolizione del canone, da sempre la più odiata delle tasse. Difatti le prime reazioni alla notizia di un eventuale referendum subito hanno bollato l’idea come “troppo grillina”, intuendo i rischi di affidare alla vox populi decisioni così rilevanti. Apparentemente è singolare che al governo qualcuno abbia pensato ad una soluzione del genere, eppure la stessa situazione si ripete ora proprio sull’apertura di Grillo al PD: “Siamo pronti a discutere con tutti, ma oggi con M5S lo streaming lo chiediamo noi” ha annunciato il premier Matteo Renzi giocandosi una carta dal raro potenziale. Lo streaming, altro cavallo di battaglia dei 5 Stelle, viene ora imbracciato come strumento di trasparenza dal governo in carica, rovesciando i presupposti che lo avevano originato. Di base la visione pubblica degli incontri a porte chiuse si costituisce come mezzo d’opposizione, nelle intenzioni è lo strumento che smaschera i giochetti del sistema e ed i suoi accordi sottobanco. Ma se quel sistema, con il quale Grillo ribadì di non voler accordarsi proprio nello streaming con l’attuale premier, lo utilizza per legittimarsi e allo stesso tempo per mettere alla prova gli oppositori, allora cadono i presupposti di base. Matteo Renzi, che qualcosa di comunicazione ha dimostrato di saperne, vuole combattere Grillo e i suoi con le loro stesse armi. Ed a ben vedere non è una novità: il suo consenso sta nell’aver aperto un discorso di svecchiamento e “pulizia” nell’establishment politico italiano, un’idea di rinnovamento che è principio pure del M5S, ma l’isolamento di quest’ultimo ha reso impossibile ogni tentativo concreto. Lo streaming futuro diviene dunque l’occasione per l’ennesima prova muscolare del governo che potrebbe dimostrare in un sol colpo sia la sua rilevanza politica, forte delle sue percentuali e conscio della posizione scomoda dei 5 Stelle al tavolo, sia la sua abilità nel fare propri i mezzi e gli espedienti avversari.

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