Danilo Dolci, amico degli ultimi

Giuseppe Lembo

Era da tempo che non parlavo del mio caro amico Danilo Dolci. Purtroppo tutti i suoi falsi amici di un tempo ormai lontano si sono zittiti; hanno perso la voce e la parola. Un inopportuno silenzio da anni va circondando la figura del grande costruttore di pace, la cui vita è stata sempre una vita di impegno per gli altri, sul cammino della pace. Danilo Dolci, un testimone attento del nostro tempo, in tante belle ed interessanti occasioni culturali è stato mio compagno di viaggio. Un grande educatore che ha fatto dell’utopia possibile, la grande maestra di vita di un comunicare autentico pensato al fine di non lasciare indietro nessuno; questo anche nel difficile mondo siciliano, dove le verità di un imperante gattopardismo erano vive più che mai e si manifestavano attraverso quel congenito sentimento siciliano di forte diffidenza rispetto al fare, che mai ha saputo sottrarsi all’ordine delle cose, perché, come diceva Gattopardi, è nell’ordine delle cose che qualcosa cambi. Danilo Dolci, pur trapiantato in Sicilia dalla lontana realtà triestina (nasceva a Sesana – Trieste nel 1924), mette in grande evidenza i gravi mali della sicilianità. Scriveva nel 1960 nel suo libro “Spreco”, pubblicato da Einaudi che, “non si possono formare delle società perché prima manca la fiducia uno con l’altro e secondo siamo in miseria”. L’importante, andava ripetendo Danilo Dolci è “rompere il cerchio che si è chiuso (“Spreco” pag. 25).

Che fare per rompere il cerchio? Il sociologo Dolci, si dà un suo metodo come strategia dal basso che prevedeva (queste sono le sue parole), di “entrare all’interno delle situazioni, far prendere coscienza dello sviluppo possibile e da attivi protagonisti realizzarlo, forti della propria condizione di uomini liberi”.

Danilo Dolci, nel suo ruolo di impegno per gli altri, sul cammino della pace, come primo grande obiettivo per l’uomo della Terra, si è attivamente adoperato da protagonista per raggiungerla; per cancellare i luoghi comuni, liberando così l’uomo dai falsi pregiudizi che da sempre hanno agito sui poveri cristi, costretti alla rassegnazione e ad una vita di miseria e di degrado.

I mali del Sud e della Sicilia in particolare da Danilo Dolci sono visti soprattutto nella mancanza di programmazione e nella creazione di strumenti sia umani che economici, assolutamente necessari ad attuarne le varie fasi per creare condizioni umanamente nuove e quindi sviluppo.

Con il metodo dialogico, basato sulla maieutica Danilo Dolci riusciva a dare voce anche ai senza voce; attraverso i suoi tanti laboratori maieutici in tutte le scuole d’Italia ed in tanti organismi associativi, con la maieutica riusciva a tirare fuori le verità non prima espresse anche da parte di chi il sistema aveva assolutamente reso incapace di esprimersi. Purtroppo in mondi lontani abbandonati a se stessi, come era la Sicilia ai tempi di Danilo Dolci e non solo, le verità erano un vero e proprio frutto proibito; venivano prepotentemente oscurate dalle violenze, dai soprusi e soprattutto dalla miseria e dal degrado umano diffuso; tutto questo insieme non permetteva a nessuno dei cittadini, di essere se stessi, manifestando positivamente stimoli alternativi.

Questo era il mondo siciliano, dove dominava una forte diffusa impotenza reattiva della collettività.

Contro questo mondo e non solo, titanicamente per decenni tuona la voce di Danilo Dolci; rivendica per i tanti ultimi del Sud una giustizia sociale assolutamente assente; rivendica altresì una concreta pratica democratica al fine di liberare gli ultimi dal peso opprimente di un potere oppressivo e violento che ha sempre cancellato ogni forma possibile di Stato di Diritto, abusando degli ultimi costretti a vivere in un mondo fatto solo di opprimente conservatorismo, di disuguaglianze e soprattutto di tanta, tanta illegalità.

Danilo Dolci, mio caro amico, voleva che lo Stato di Diritto fosse un obiettivo di vita per tutti; per tutti, compresi quegli ultimi, dannata espressione umana di soli diritti negati.

Sul cammino della pace e dei diritti fondamentali dell’uomo mi sono ripetutamente incontrato con il mio amico Danilo Dolci; tanta è stata la strada percorsa insieme, fortemente animati dalla giusta volontà di cambiare il mondo, dando dignità umana anche agli ultimi della Terra, predestinati a vivere nella più assoluta immobilità, da “senza diritti”.

Tutto quanto riportato sopra mi dà la forza di continuare a camminare insieme al pensiero intramontabile di Danilo Dolci, nel quale c’è ancora oggi viva la speranza di un mondo nuovo; di un mondo migliore anche per gli ultimi della Terra, dei senza diritti perché così hanno deciso i potenti e prepotenti dei mondi negati, egoisticamente nemici dell’uomo; dell’uomo della Terra ancora vittima innocente dei tanti potenti che tutto possono e che, maltrattando gli altri, pensano unicamente solo a se stessi.

Danilo Dolci il cui pensiero e la cui memoria è ancora tanto necessaria al nostro presente, dove i mali dei diritti negati sono, come nel passato, dei mali da cui è assolutamente necessario guarire, non va dimenticato.

A me che sono stato suo amico, ogni volta che ne parlo, colloquiando con lui, provo delle emozioni umanamente indescrivibili. L’attualità del suo pensiero, soprattutto rispetto al lavoro è un’attualità fortemente avvertita ancora oggi dal nostro Paese; il diritto al lavoro è, purtroppo, un diritto sempre più negato; tanto, come ci ricorda con l’azione nonviolenta Danilo Dolci, in quanto trattasi della prima ed insostituibile fonte del riscatto umano degli ultimi, purtroppo resi sempre più ultimi dai potenti-prepotenti che preferiscono lo spreco piuttosto che garantire il diritto al lavoro, per eliminare la miseria, la sofferenza e l’arretratezza, cancellando così anche l’utopia possibile.

La buona occasione per ricordare Danilo Dolci mi viene da un libro affettuosamente fattomi pervenire da Giuseppe Dicevi, che ne ha curato la pubblicazione, attento studioso del pensiero dolciano, edito dall’Associazione Peppino Impostato di Cinisi.

Trattasi della pubblicazione di atti inediti di un Convegno “Sulle condizioni di vita e di salute nelle zone arretrate della Sicilia Occidentale” – Palma di Montechiaro 27-28 e 29 aprile.

Il titolo del libro, di circa 500 pagine, è Danilo Dolci – Una vita contro miseria, spreco e mafia – Coppola Editore 2013.

Dopo mezzo secolo grazie all’impegno di Pino Dicevi ed all’attiva presenza dell’Associazione Peppino Impostato di Cinisi, quei documenti, ancora oggi attualissimi, vengono intelligentemente riportati, come testimonianza di un convegno dal basso che attivò le intelligenze del basso, facendo emergere il senso della giustizia sociale e della nonviolenza che rappresentavano e ne rappresentano ancora oggi, i presupposti necessari per rompere le incrostazioni politico-mafiose nei vari contesti e dare concretamente credito alla pratica democratica che, pur essendo regolata dallo Stato di Diritto, di fatto è inoperosamente assente per effetto di un forte conservatorismo sociale, rigenerando e rigenerandosi nelle disuguaglianze e nella illegalità.

L’obiettivo che si sono posti i curatori dell’opera è quello di attualizzare un passato amaro, nei cui errori ci sono ancora tutte le contraddizioni di un presente dove sono ancora vivi i comportamenti disumani di quel lontano passato, da cui come nel passato anche oggi, dipendono i tanti diritti negati, primo dei quali, il diritto al lavoro, un diritto negato che ciclicamente nel nostro difficile Paese, diventa il primo protagonista sociale, per effetto della disoccupazione un sempre vivo elemento dominante a tal punto da essere tragicamente, il problema dei problemi italiani.

Molta parte del lavoro del Convegno di Palma di Montechiaro, riguarda il più generale e mai risolto problema del Mezzogiorno; di questione meridionale, non risolta dall’Unità d’Italia in poi ci troviamo a discutere ancora oggi senza alcuna soluzione concretamente possibile dato il convincimento diffuso degli aiuti sussidiari al Sud perché arretrato ed assolutamente incapace di svilupparsi come il Nord.

Si è trattato di una soluzione non soluzione del tutto sbagliata; ha, purtroppo, aggravato nel tempo le condizioni di arretratezza meridionale, senza poterle un giorno cancellare.

Per Danilo Dolci non era assolutamente concepibile che l’Italia, ormai rifondata sullo Stato di Diritto, potesse vivere ancora di fatto separata con un Sud arretrato ed un Nord sviluppato, mantenendo così in piedi una questione meridionale tarda a morire per quella volontà politica di chi aveva deciso di affidare al Sud, alla tracotanza delle collusione politico-mafiose, lasciando incancrenire i problemi, non essendoci assolutamente la volontà di cambiare, di azzerare la questione meridionale e creare il miglioramento delle condizioni di vita, un diritto spettante a tutti i cittadini italiani sia del Nord che del Sud.

Anche dagli atti del lungo lavoro del Convegno di Palma di Montechiaro emerge quello che è stato l’obiettivo a base del fare dolciano in Sicilia; rompere tutti i luoghi comuni strumentalmente mantenuti in piedi dai nuovi potenti e prepotenti che pensavano ad un Sud emergenziale, benedetti, tra l’altro, dalla Chiesa cattolica che non aveva assolutamente come obiettivo quello di portare a soluzione le esigenze dei poveri cristi, inchiodati in una condizione di inamovibile ed eterna rassegnazione; tanto, perché così è, perché così deve essere.

L’omaggio di Peppino Dicevi a Danilo Dolci grazie anche all’impegno dell’Associazione Peppino Impastato è quanto mai opportuno; tanto, per non dimenticare; tanto, per ricordare fatti e testimonianze che possono doverosamente tenere viva la memoria di un testimone autentico del nostro tempo e di cui il nostro tempo ha tanto bisogno per non dimenticare un grande protagonista che ci ha segnato la strada da seguire sia oggi che nel futuro, trattandosi di una strada vincente carica di umanità e di impegno per cambiare l’amaro destino degli ultimi a cui, con prepotenza, viene inopportunamente negata la condizione di uomini, con il naturale diritto di poter vivere da uomini in un Paese dove è riconosciuto e garantito lo Stato di Diritto.

Compagno di viaggio di Danilo Dolci fu a lungo Aldo Capitini; entrambi seguirono il pensiero gandhiano, applicando il metodo della non violenza.

Sia Dolci che Capitani, con le loro posizioni pacifiste miravano ad una rinascita culturale capace di uscire dagli schemi di una autoreferenzialità, assolutamente poco progressista; per Capitini il socialismo era uno strumento per la liberazione dell’uomo; in quanto tale, ne respingeva le sue deviazioni autoritarie.

Negli atti del Convegno importanti testimonianze di vita, traspare con forza il ruolo di missionario laico di Danilo Dolci; a Trappeto, nelle casette di Borgo di Dio, trovò la sua più alta espressione attraverso la cosiddetta Università Popolare, con le tante iniziative destinate al recupero sociale e culturale dei bambini bisognosi; di quei bambini dimenticati da tutti ed esclusi da tutto.

La Sicilia della Civiltà contraria, di civiltà della morte, come ebbe a definirla il Papa Wojtyla, non può vivere nella sua inopportuna pressione di una civiltà contraria, sempre a discapito della povera gente costretta a subire la violenza, l’indigenza, il degrado, la disoccupazione, la disperazione e la disumanità dell’indifferenza e dell’abbandono a se stessi.

Qualcosa dovrà pur cambiare nel tempo; per questo qualcosa come diritto alla vita anche per gli ultimi, c’è anche l’opportuna presenza e l’azione non violenta di Danilo Dolci che attraverso la maieutica andava stimolando i cittadini a prendere coscienza ed a ribellarsi dando un nuovo senso alla vita; alla vita come fatto d’insieme e come iniziative individualmente prese.

Nella tre giorni di Palma di Montechiaro i tanti convegnisti percorrono insieme il fare non violento di Danilo Dolci e le tante ingiustizie istituzionalizzate come quella riguardante gli scioperanti alla rovescia che, nonostante la magistrale arringa di Piero Calamandrei, fu inopportunamente conclusa con una condanna di colpevolezza.

È questo processo che valse a Danilo Dolci il Premio “Lenin per la pace”.

Danilo Dolci, attento osservatore delle devianze, dal 5 al 12 marzo 1967 guidò la marcia per l’acqua, per la pace e il lavoro; a questa marcia partecipò anche Peppino Impostato che pubblicò un suo articolo sul giornale di Cinisi “L’Idea”.

Gli atti che non sono semplici testimonianze, ma importanti documenti di vita per quel che rappresentano, diventano una parte importante della nostra storia; di una storia vera che ha per grande protagonista il pensiero Danilo Dolci che in “Inventare la pace”, rivolgendosi soprattutto ai giovani, ebbe a scrivere “Non credo più possibile disgiungere l’impegno per lo sviluppo socio-economico dall’impegno per la pace … un pacifismo senza reali radici nel socioeconomico si riduce per lo più a parole”.

Il capitolo intitolato “La democrazia”, è opportunamente introdotto da una frase di Gandhi “Su questa Terra ci sono risorse per tutti i viventi, ma queste risorse non sono sufficienti per l’avidità di pochi”.

L’avidità di pochi genera povertà. Ne è convinto, come Gandhi, anche Danilo Dolci; è da qui parte la sua azione nonviolenta per la lotta agli sprechi e per un agire comune per la tutela del diritto di avere diritti, anteponendo i diritti primari del lavoro, della salute, della casa, dell’istruzione.

Come ripetutamente testimoniato dal più grande missionario laico del nostro tempo, “Cambiare si può”; tanto è possibile, ci insegna Danilo Dolci, attraverso una partecipazione dal basso, la sola capace di rivoluzionare in modo nonviolento quell’infame dominio dei pochi che esercitano le mistificazioni più raffinate per illudere i cittadini e farli marcire nelle crisi, nelle emergenze e nel debito pubblico, carico di interessi capestro, da cui non si può assolutamente uscire.

Danilo Dolci è un profeta del nostro tempo; aveva ben previsto quel che poi è capitato e che, senza via di uscita, ci sta facendo precipitare nella povertà più assoluta, nella miseria, nel degrado ed in condizioni di vita sempre più vicine a quelle degli ultimi, degli ultimi della Terra.

Questo per il grave effetto di quel controllo infame dall’alto e dei tanti che ancora mettono le loro sporche mani nelle tasche della gente disperatamente sola che nulla può per difendersi da quegli avidi poteri forti amici e sostenitori di quegli organismi sconquassati ma collusi con chi detta le regole anche se trattasi di regole infami ed ingiuste.

Il debito pubblico del nostro Paese, per altro fortemente gonfiato, non sarà mai saldato; non potrà essere mai saldato, in quanto trattasi di un indebitamento con interessi incalcolabili, perché moltiplicati all’infinito.

Che fare? Il che fare, volendo, possiamo ritrovarlo anche in quello che ci ha insegnato Danilo Dolci che ci ha lasciato un grande testamento di umana saggezza.

Cambiare si può. Come? Ridando fiducia ai cittadini; recuperando le intelligenze dal basso e rifondando il vero percorso della democrazia e dello Stato di Diritto; tanto, non solo in Italia ma nel mondo che va prima di tutto globalizzato socialmente, facendo prevalere un cammino di umanità con il valore dell’essere sulla invadente e rovinosa corsa all’avere del nostro tempo amaramente perduto, perché aggressivamente contro l’uomo.

Danilo Dolci ci ha detto che cambiare si può; che un altro mondo è assolutamente possibile; ci ha, altresì, detto che cambiare si deve se nel progetto futuro dell’umanità c’è ancora la saggia volontà di “restare umani”.

Il libro curato da Peppino Dicevi è, tra l’altro, arricchito di un’importante documentazione fotografica. Sono tante le testimonianze della vita di Danilo Dolci, un grande missionario laico del nostro tempo che ci ha indicato il cammino da seguire per riprenderci la nostra dignità di uomini liberi, in un mondo in cui la forza della violenza agisce contro la pace, mettendola sempre più in crisi a danno dell’umanità che ha necessariamente bisogno di vivere in pace.

Gli atti del Convegno di Palma di Montechiaro, un vero convegno dal basso, sono ricchi di testimonianze da parte di partecipanti intellettuali, operai, contadini, artigiani, disoccupati (giovani e non), amministratori, parlamentari e rappresentanti di associazioni e di partito.

Attraverso la maieutica Dolci riuscì anche in questa occasione a valorizzare le tante intelligenze dal basso, tirando fuori da ciascuno, liberamente le loro verità e non quelle imposte dal sistema che si è da sempre arrogato il diritto di oscurarle con violenza; rappresenta una lezione di un utile confronto d’insieme; mettendo a confronto tutti, ha indicato il giusto cammino per un radicale cambiamento culturale, sociale ed economico, un insostituibile presupposto per rompere le tante incrostazioni politico-mafiose ed indicare la strada maestra per una politica democratica che, se vuole essere tale, deve essere assolutamente regolata anche nel nostro Paese dallo Stato di Diritto, in violazione del quale si perpetua purtroppo quell’infame mondo di sempre, un mondo con alla base disuguaglianze ed illegalità.

Conoscere da vicino le tante testimonianze raccolte e messe magistralmente insieme da Giuseppe Dicevi, un profondo conoscitore di Danilo Dolci, è un utile arricchimento per quanti ancora pensano alla cultura come percorso di insieme umano fruttuosamente realizzato dalle idee e dal confronto, insostituibile strumento di umanità di insieme, capace di costruire mondi di pace in altrettanti mondi ricchi di quello sviluppo utile presupposto per uno Stato di Diritto che non deve essere più pensato come solo privilegio di questo o di quello, ma come una condizione umanamente diffusa a beneficio di tutti gli uomini della Terra, compreso il nostro Paese che non sa recepire i messaggi di saggezza di vita che ci vengono da uomini come Danilo Dolci, un testimone del nostro tempo che ha segnato nel profondo la storia, la cultura e tutto l’insieme del cammino umano italiano.