Una poltrona per due

Angelo Cennamo

Nella partita politica di Matteo Renzi è scattato l’ultimo livello, quello decisivo. Il sindaco di Firenze ha accumulato uno score altissimo dopo aver eliminato uno ad uno gli avversari più pericolosi del suo schieramento, da Bersani a D’Alema, passando per Cuperlo e Fassina. Ora il Pd è nelle sue mani, ma perché non scatti il game over sul più bello, il guascone deve fare i conti con l’ultimo giocatore rimasto in campo : il presidente del Consiglio. Da quando ha vinto le primarie, l’8 dicembre scorso, Renzi lo martella con la sua agenda, spronandolo a fare di più e meglio. In poche settimane, il nuovo segretario ha sciolto i nodi della legge elettorale e messo in cantiere due riforme costituzionali importanti : superamento del senato e titolo V. Il dialogo (essenziale) con Silvio Berlusconi gli ha attirato le critiche dell’ala estremista del Pd, ma anche il plauso di chi al puritanesimo giudiziario preferisce lo schema machiavellico della realpolitik. In queste ore Letta incontrerà Napolitano, suo anfitrione e deus ex machina delle larghe intese già in tempi non sospetti ( Friedman sul Corriere della sera rivela particolari scottanti sul boicottaggio del Cavaliere già nell’estate del 2011). Renzi rifiuta rimpasti ( “Mi fanno venire le bolle” ripete ai giornalisti che lo inseguono) , e non accetta di subentrare in corsa nel ruolo di premier. L’alternativa sarebbe il voto, ma si dà il caso che la legge elettorale, a un passo dalla sua approvazione alla Camera, risulterebbe monca e quindi inapplicabile senza l’aggiustamento del senato. I tempi, che non sono brevissimi, sembrano tendere la mano a Berlusconi, che nel frattempo osserva ed attende lo sgretolamento del Pd a braccia conserte, forte dei sondaggi a lui favorevoli. Renzi vorrebbe chiudere la partita vincendo le elezioni : è comprensibile, ragionevole, per certi versi, perfino auspicabile. Ma nel puzzle che ha sapientemente allestito in questi mesi mancano gli incastri decisivi. La “staffetta”, espressione in questi giorni ricorrente, evoca dolorosi precedenti : nel 1998, D’Alema subentrò nella guida del governo a Romano Prodi alimentando nel centrosinistra spaccature e veleni mai sopiti. Ma erano altri tempi e situazioni diverse. Prodi aveva vinto le elezioni e la destra del Caimano – in fase ricostituente – non era in vena di sconti. Al contrario del professore bolognese, Letta è arrivato a Palazzo Chigi per grazia ricevuta, dopo la semisconfitta di Bersani; se Renzi prendesse il suo posto, non si macchierebbe quindi di lesa maestà né tradirebbe il voto popolare ( (che, nel 2013, ha pur sempre premiato il Pd). Così facendo, il sindaco non solo avrebbe dalla sua parte la stragrande maggioranza del partito ( qualche franco tiratore al Nazareno va sempre messo in conto), ma potrebbe contare sull’opposizione morbida, anzi morbidissima di Berlusconi, se non addirittura sul suo appoggio esterno, per il completamento di quelle riforme strutturali sulle quali la destra non ha nulla da obiettare, avendole lei stessa ( in parte) già varate nel 2006. Rifiutare tale scenario per attendere il passaggio delle urne, tra uno o forse due anni, per Renzi sarebbe invece rischioso : continuare a criticare l’operato di Letta, dopo aver rifiutato di sostituirlo a Palazzo Chigi, si trasformerebbe, infatti, in una pantomima difficile da spiegare agli  elettori. L’immagine nuova e riformatrice del giovane Matteo andrebbe incontro ad un precoce logoramento, quella di Berlusconi, al contrario, ad un miracoloso restyling.  L’ennesimo. (Angelo Cennamo)

Un pensiero su “Una poltrona per due

I commenti sono chiusi.