L’Italia allo specchio

Giuseppe Lembo

Chi sarà l’erede naturale della grave bolla politico-sociale d’Italia? La stampa italiana non si propone e propone contenuti del comunicare autentico che servono ai cittadini per migliorare l’insieme italiano e quindi migliorarsi. Purtroppo e sempre più spesso, gli obiettivi sono altri e facendo male al cittadino ed al suo insieme di riferimento, non veicolano con la necessaria chiarezza contenuti ed idee necessarie al Paese per vivere bene il presente, pensando altrettanto bene al futuro.

C’è, nel nostro Paese, nella generale caduta dei valori condivisi, anche il problema di un comunicare sempre meno autentico; di un comunicare quotidiano interessato sempre più alle frivolezze dell’apparire e sempre meno attento all’essere; ai valori dell’essere, ai valori della vita umana che va molto al di là delle sue naturali funzioni fisiologiche di un vivere per mangiare su cui, facendo grave torto a chi il cibo non ce l’ha, si esprime grande parte del vivere umano del nostro tempo.

Non voglio assolutamente rincorrere percorsi umani che si sono attardati e continuano ad attardarsi sul solo apparire e sulla sola materialità della vita terrena.

Voglio però, ed è doveroso farlo, riflettere a voce alta sulle sofferenze italiane, sui mali di questo nostro Paese, così gravi da non esserci alcun farmaco, anche se miracoloso, con cui guarirli, tornando nelle tanto sperate condizioni di buona salute sia fisica che dell’anima.

Le condizioni italiane sono gravi e chi, a buona ragione, mette il dito sulla piaga, non deve essere considerato né un infame, né un allarmista e/o un inopportuno costruttore di tragedie inventate.

Il comunicare autentico è necessariamente una comunicazione-verità che ha la grande funzione di servizio per migliorare le condizioni dei cittadini nelle loro verità d’insieme, facendoli, tra l’altro, crescere sul piano umano, culturale e della conoscenza, per essere dei buoni cittadini sul proprio territorio ed oltre nel mondo.

Questa premessa che, ritengo come utile introduzione all’argomento da trattare, mi viene suggerita da un articolo di Ernesto Galli Della Loggia,  un opinionista  intelligente del Corriere della Sera che, ancora una volta, va in profondità nel fare comunicazione autentica sui mali d’Italia, mali purtroppo profondi ed assolutamente insanabili.

In un articolo di prima pagina dal titolo “Poste e Ferrovie, il grande equivoco”, con un lungo prosieguo a pagina 24, l’autore si sofferma a parlare delle Poste e delle Ferrovie italiane, entrambi servizi pubblici a domanda individuale, assolutamente diversi rispetto a tanti altri.

Due servizi pubblici, con una lunga storia che in molte sue parti è parte della storia d’Italia. Due servizi pubblici simboli dello Stato italiano.

Oggi hanno, per come sono, dismesso questo loro storico ruolo e sono entrambi non più servizi pubblici tradizionalmente intesi, ma delle vere e proprie aziende sul mercato, con in sé, non più quella vecchia funzione di servizio pubblico, ma di vero e proprio business, spogliandosi dei panni  di una lunga tradizione cara a generazioni di italiani ed ancora soprattutto cara alle persone di una certa età che hanno vissuto circondati dal simbolo amico dell’italianità delle Poste e delle Ferrovie dello Stato.

Tanto non è più; tanto è ormai scomparso dalla storia italiana, con un grave danno non solo d’immagine, ma nel comportamento degli italiani che vedono organi di simboli italiani ormai per sempre cancellati.

Il riconoscersi nei simboli della propria appartenenza, è un fatto assolutamente importante. Scrive, a tal proposito, Ernesto Galli Della Loggia “E gli Stati come si sa, sono tenuti in piedi insieme anche dai simboli”.

L’Italia è ormai orfana di questa sua storica identità; è ormai e sempre più priva di questa sua appartenenza che ha radici profonde nel suo passato.

L’Italia di oggi, l’Italia in cui gli italiani vivono, è sempre meno l’Italia che hanno imparato a conoscere gli italiani nel linguaggio della propria vita d’insieme.

Siamo in un’altra Italia; in un’Italia, tutta da costruire; tutta da inventarsi anche nella sua simbologia dell’appartenenza identitaria.

Tanto sarà sempre più necessario, in quanto maldestramente si vanno smantellando tutti i vecchi simboli dell’appartenenza identitaria.

Le Poste e le Ferrovie, per la loro lunga storia italiana, possiamo considerarli in tutto e per tutto, simboli nobili dell’appartenenza italiana.

Erano l’emblema identitario di un Paese con cui la sua gente si sentiva orgogliosa di identificarsi.

Ora, con grave danno per tutti, non è più così; nel nostro Paese non c’è in atto alcun attivo processo di identificazione, per mancanza di una simbologia dell’appartenenza; tanto, perché inopportunamente è stata cancellata.

Vediamo da vicino il percorso seguito da Ernesto Galli Della Loggia che, a giusta ragione, vede negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, il lungo radicamento del fallimento dello Stato nel governo di questi settori strategici per la vita italiana.

La causa di tale fallimento è da vedere soprattutto nell’ostinata volontà politica di trasformare entrambi i settori nel ricettacolo di un esasperato e dilagante clientelismo; con la fine annunciata realizzatasi attraverso due elefantiache società per azioni, una liberalizzazione spuria che ha messo insieme il pubblico ed il privato, con un legame di fatto, di diritto privato, pur conservandosi pubblica l’intera proprietà che, come dice Galli Della Loggia, doveva, o deve, continuare “a garantire le esigenze essenziali di natura collettiva legate alle loro tradizionali prestazioni”.

Si è trattato di un sogno, solo di un sogno, in quanto di fatto le cose nella concretezza dei fatti, non sono andate assolutamente così.

Lo Stato padrone ha dovuto abbracciarsi tutti i possibili interventi sia emergenziali che di trasformazione tecniche, senza vederne realizzato il buon funzionamento, con le giuste garanzie dei servizi funzionali agli intenti, verso cui è cresciuta l’indifferenza gestionale, non trattandosi più, nei fatti, di un servizio pubblico.

Questa condizione gestionale per le Poste e le Ferrovie italiane è avvenuta alla vigilia di radicali e costose trasformazioni tecniche (la telematica e l’alta velocità), che richiedevano e richiedono cospicui interventi senza avere il ripianamento del bilancio da parte del Tesoro così come avveniva nel passato, trattandosi ormai di una gestione privata (con a riferimento legislativo il diritto privato), di un bene a proprietà pubblica.

Che cosa ne è conseguito da questo innaturale, quanto spurio connubio pubblico-privato? Una prima fondamentale cosa è stata quella di una crescente esigenza di operare a tutti gli effetti come aziende soggette a rispettare le regole di mercato. Ne è derivato inevitabilmente per entrambe, una forte riduzione del proprio impegno finalizzato al servizio pubblico per il quale erano nate. Altre le esigenze.

Fortemente di natura telematica per le Poste ormai indifferenti ai servizi postali di una volta, attrezzatasi con complessi e sofisticati nuovi apparati di controllo e protezione dei sistemi di comunicazione telematica; altrettanto sconvolgenti i cambiamenti nelle Ferrovie, non più attente al traffico ferroviario per i tanti viaggiatori costretti a spostarsi per esigenze di lavoro da una parte all’altra, in percorrenze brevi e/o meno brevi, annullate e trasformate in un vero e proprio calvario.

Tante le linee tagliate; tanti i cambiamenti negli spazi di uso pubblico delle stazioni, un tempo la casa nobile dei berretti rossi, mentre oggi sono ridotti a bazar commerciali di tutte le specie.

 In questa Italia che non è assolutamente blasfemo definire mala Italia, a pagarne il prezzo più alto sono state ed ancora continuano ad esserlo le realtà più deboli del Paese; tra queste, soprattutto, le realtà del Sud, sia ferroviario che postale; quello ferroviario ha visto riservarsi da parte del nuovo sistema, un servizio pericolosamente degradato e sempre più abbandonato a se stesso; il secondo, quello postale ha visto chiudere centinaia di piccoli uffici postali, con conseguenze gravi non solo per i servizi venuti a mancare, ma per la stessa qualità della vita di realtà minori, destinate ad una crescente desertificazione con problemi allarmanti per la stessa conservazione fisica dei territori ormai abbandonati a se stessi, dove è, non solo difficile vivere, ma anche semplicemente sopravvivere. Così l’Italia dei cittadini per le Poste e per le Ferrovie italiane è diventata aggressivamente e senz’anima, l’Italia delle aziende di mercato; di un mercato concorrente ed in affannosa ricerca di fare profitti e di procurarsi risorse per sopravvivere e/o per far fronte ai tanti sprechi.

Il servizio pubblico per cui erano state pensate sia nell’uno che nell’altro caso, con un solo colpo di spugna è stato di fatto cancellato; tanto,  causando danni mortali di sopravvivenza per quell’Italia minore che nell’indifferenza di tutti se ne sta cadendo a pezzi, cancellandone la stessa identità antropica, un tempo preziosa guardia dei territori oggi abbandonati sempre più a se stessi, per cui inevitabilmente destinati a scivolare a valle, con gravi danni per tutti.

La nuova realtà pubblico-privato prodotta in questi due settori strategici per la vita del Paese, è una realtà da disastro annunciato; i danni saranno sempre più crescenti e con altri disastri annunciati, andranno a rappresentare la fine del disastro Italia, un Paese che ormai non sa più  guardare al futuro, pensando a crescere ed a svilupparsi, ma rassegnato, va inesorabilmente veloce verso la sua fine annunciata.

I servizi postali italiani sono sempre più servizi dalla crescente e pessima qualità.

Di chi la colpa? È certamente dello Stato che ha ormai smesso di agire a tutela dei suoi cittadini, verso i quali ha un atteggiamento di assoluta e forte indifferenza; tanto, per effetto di una classe politica, menefreghista ed incapace, sempre più avvitata su se stessa e sempre più attenta a difendere i propri privilegi e le proprie posizioni di potere, finalizzato non al bene comune, ma solo al proprio bene.

A cuor leggero sulla pelle dei cittadini si è pensato di privatizzare le Poste e le Ferrovie italiane; tanto, è stato fatto, senza minimamente preoccuparsi del danno italiano, per la gente italiana, costretta, soprattutto al Sud, a viaggiare male e ad avere servizi postali fonte di quotidiani disservizi, pensati ad incentivare il disagio italiano, purché rispettoso ed attento delle scelte strategiche ispirate da tecnocrati e boiardi di Stato per fini sempre più estranei alle comuni esigenze del pubblico italiano e quindi dell’umanità italiana.

Che Stato! Che Italia!

Si svende un patrimonio pubblico, di pubblico interesse nelle mani della gestione privata, servizi socialmente utili; tanto, del tutto indifferenti delle gravi conseguenze per il Paese nel presente e soprattutto nelle sue prospettive future.

Lo Stato non può e non deve chiudere bottega e tanto meno smantellare il servizio pubblico italiano, mancando il quale, rischiamo, con gravi danni per il futuro del Paese, di trovarci vergognosamente africanizzati.

Non si può pensare di trarre profitto da servizi che, prima di tutto, hanno come obiettivo quello di garantire la vita dei cittadini.

Il Governo italiano, privatizzando le Ferrovie e le Poste, ha tradito milioni di italiani, oggi in crescente difficoltà a viaggiare e ad usare i servizi postali.

L’Italia facendo male e facendo prima di tutto male a se stessa ha smantellato con le Poste e le Ferrovie molto inopportunamente due istituzioni simbolo della vita civile del Paese; un’operazione assolutamente malvagia ed inopportuna che si riflette e non poco, prima di tutto, sull’immagine dello Stato italiano che, avendo ormai assolutamente smarrito il senso di sé, porta alla rovina il Paese, non più legato da una sorte comune ed ancor meno eticamente governato nell’interesse italiano dei suoi cittadini.

Come detto in premessa, non c’è assolutamente compiacimento nel riscontrare i mali d’Italia; tanto meno, c’è compiacimento nel parlare della disperazione italiana, causa di tante diffuse tragedie sia individuali che collettive.

È un dovere da parte di chi svolge, a qualsiasi titolo, il compito di comunicatore, di comunicare in modo autentico ed in nome della dignità e del rispetto dei cittadini che arrivano per disperazione individuale e collettiva a delegittimare chi li governa e chi governando sgovernando, non promuove azioni di governo finalizzate all’interesse generale.

La sfera pubblica italiana, per colpa di chi la governa, è in grave sofferenza; i cittadini hanno smesso di avere fiducia nelle istituzioni, perché considerate inadeguate; perché non danno le giuste risposte alle loro attese; perché li penalizzano nel vuoto di servizi che abbassano giorno dopo giorno la qualità della vita.

Tutto questo indigna; tutto questo spinge al rifiuto della politica; tutto questo crea un clima diffuso di rabbia, pronta a diventare protesta; tutto questo pone al primo posto dei cittadini una diffusa e crescente volontà di cambiamento; di un cambiamento considerato urgente e necessario per non morire di tradimenti pubblici e di profondo abbandono da parte dello Stato italiano, che facendo male e facendo soprattutto male a se stesso, va inopportunamente tradendo la dimensione istituzionale della collettività organizzata che si chiama Italia, fatta da cittadini che sono l’anima viva di quest’Italia, un grande Paese, che nessuno può pretendere di maltrattare come fanno inopportunamente oggi i suoi infedeli governanti.

 

                                                                                             

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