Dal giornalismo alla politica, le relazioni pericolose

Amedeo Tesauro

Lo si sapeva da tempo, mancava soltanto l’ufficialità. Giovanni Toti, giornalista già direttore del TG 4 e di Studio Aperto, entra in politica col ruolo di “consigliere politico” di Forza Italia, chiamato direttamente dal leader Silvio Berlusconi. Il titolo conta in verità poco, da settimane si alternavano voci differenti sulla nomina ed il titolo assunto, ciò che resta è l’assoluta centralità della figura di Toti nel rinnovato progetto politico del Cavaliere. Una centralità che non è piaciuta ai falchi più feroci di FI, tale che a livello nominativo la formula di “consigliere” appare una retrocessione, ma nella pratica Silvio Berlusconi ha scelto un uomo proveniente dai media, giovane e determinato, forse un nuovo delfino dopo lo strappo con Angelino Alfano. Nonché, ipotizza qualcun altro con acutezza, una risposta alla multimedialità del segretario PD Matteo Renzi. Il percorso di Toti, dalle riunioni di redazione a quelle di partito, non è certo una novità, altri nomi del giornalismo hanno in passato intrapreso tale strada, ed è perfino è avvenuto il contrario. Come ogni volta, soprattutto nel caso di individui che hanno ricoperto ruoli ad un livello così alto come un tg nazionale, si riapre la doverosa questione sull’imparzialità del giornalismo italiano. Toti passa da Mediaset a Forza Italia, dall’azienda di Berlusconi al suo partito-azienda, un’occorrenza che accende i dubbi sulla qualità di un sistema dove la politica pare il passo successivo per opinionisti magari già ampiamente schierati. Perché in fondo non è un problema se Toti scende in politica e abbandona le sue mansioni, ma è lecito mal pensare che questo interesse non nasca dal nulla ed il giornalista possa aver lavorato in una certa direzione anche nel momento in cui poteva gestire una risorsa mediatica come un TG nazionale. Oppure, semplicemente, vien da condannare un sistema dell’informazione così strettamente collegato a quello politico da apparire assolutamente naturale il passaggio. Se per Forza Italia la pratica ormai è da manuale, il vecchio e non per questo risolto conflitto d’interessi, casi dubbi si segnalano anche altrove, da Santoro e Ruotolo finanche alla parlamentare europea Gruber o a Corradino Mineo passato da Rai News al PD nelle ultime elezioni. Giornalisti che lasciano il mestiere, altri che ritornano, altri che si candidano e non ottengono il posto, alle volte perfino politici che si danno al giornalismo, strade che si incrociano pericolosamente. Normale routine, incomprensibile se non si ammette un’associazione a cui ormai ci si è assuefatti, quella tra due mondi che dovrebbero rimanere distanti il più possibile e che invece si mischiano apertamente, nei casi citati ma anche in quelli più pericolosi di giornalisti fintamente imparziali. Toti è solo l’ultimo nome di una lista che vede volti e firme note imbarcarsi, in maniera più o meno soddisfacente, in un’avventura che per correttezza professionale dovrebbe segnare la fine della carriera nell’informazione. Ed è solo l’ultimo nome che indica un rapporto non sano tra due entità, giornalismo e politica, dove il primo è destinato ad asservirsi alla seconda. A danno dell’utente.