L’etica nell’epoca della tecnologia

Amedeo Tesauro

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha incontrato i CEO, ovvero i direttori esecutivi che dettano la linea operativa, delle maggiori aziende connesse al web e alla tecnologia: Apple, Facebook, Twitter, Yahoo, ecc. Un incontro che stando al programma doveva riguardare il lancio fallimentare del sito Healthcare.gov, attraverso cui è possibile prenotare la propria polizza sanitaria, ma che in realtà mirava anche a ritornare sulle misure di sicurezza dell’intelligence americana. Negli Stati Uniti non si spengono infatti le polemiche per il cosiddetto Datagate, lo scandalo che ha messo a conoscenza il mondo dell’attività di spionaggio statunitense, capace di arrivare ai maggiori leader mondiali (come il cancelliere tedesco Angela Merkel). In Italia, vuoi per furbizia e per cinismo tutti nostrani, la cosa non è apparsa per nulla sorprendente, eppure l’intensa attività americana ha irritato il mondo ponendo degli interrogativi all’apparenza moderni, in realtà nuove forme di questioni da sempre presenti nella società umana. Scandalizzarsi di ciò che il governo americano ha fatto non risolve infatti la vera problematica, antichissima, su quale sia il limite nella gestione del potere, se tale limite esiste davvero o se tutto è lecito per la ragione di stato. Che si ritrovino riuniti il presidente della prima potenza occidentale e i capi delle aziende operativi nell’ambito della comunicazione esemplifica in maniera perfetta chi siano i soggetti in gioco e quale sia il territorio su cui si combatte la battaglia. Perché nel caos che è seguito alle dichiarazioni di Snowden, l’uomo che con le sue rivelazioni ha lanciato lo scandalo, forse si è perso di vista il ruolo scottante di aziende con cui abbiamo a che fare ogni giorno, quelle che gestiscono i social network ed i siti che frequentiamo, quelle con cui interagiamo nel virtuale. Attraverso i loro portavoce queste multinazionali dichiarano di non aver mai fornito dati all’agenzia di sicurezza statunitense, ma nessuno ci crede. Ciò nonostante il flusso di dati prosegue ed i server di tali aziende accumulano montagne di dati sulla popolazione mondiale, l’incubo dei complottisti divenuto realtà. Se le leggi fossero rispettate quei dati rimarrebbero lì, pronti a essere visionati sotto la pressione di richieste specifiche, ma nessuno crede alla buona fede dei proprietari di quei server. La questione è sì relativa alla sicurezza nazionale, ma ancor prima è una questione etica, termine antico che oggi deve fare i conti con touch screen e mobile device. In fondo ciò che si chiede all’utente per utilizzare un servizio è fidarsi che i dati che immette non saranno diffusi, e se le grandi aziende non adempiono a tale compito che rapporto potrà mai instaurarsi tra cliente e gestore del servizio? Ma soprattutto, in relazioni ai campanelli d’allarme che sempre più denunciano una mancanza di rispetto verso la privacy dell’utente, per quanto ancora saremmo disposti ad accettare di fornire dati? Accetteremo il compromesso? Ecco allora che vedere Obama incontrare le multinazionali dell’high tech e del web ci ricorda sia dove stiamo andando sia questioni antichissime che si aggiornano ma rimangono uguali a sé stesse.