San Carlo Magno e San Michele

don Marcello Stanzione

Pochi forse sanno che l’imperatore Carlo Magno viene festeggiato come santo il 28 gennaio. Nacque il 2 aprile 742 o 747, figlio primogenito di Pipino il Breve (714-768) , primo dei Re Carolingi. Alla morte di Pipino, il Regno fu diviso tra Carlo e suo fratello Carlomanno. Quando questi morì nel 771, all’età di soli 22 anni, a Carlo restò il regno unificato dei Franchi.. la morte di Carlomanno suscita ancora oggi diversi interrogativi negli storici. Carlo estese via via i suoi domini con numerose campagne belliche di conquista: nel 774 conquistò il regno Longobardo in Italia e divenne Re anche di questo popolo. Inoltre conquistò la Sassonia (che cristianizzò forzatamente in esito ad una sorta di guerra santa) e riprese agli arabi parte della Spagna. La campagna spagnola fu tutt’altro che trionfale, e non fu priva di momenti dolorosi e gravi sconfitte, come la morte di uno dei due figli gemelli nell’accampamento reale nei pressi di Saragozza. Alla fine delle campagne militari di Carlo magno, il suo regno comprendeva una vasta parte dell’Europa Occidentale. La notte di natale dell’800 il Papa Leone III lo incoronò Imperatore. E’ quindi considerato il primo Imperatore del sacro Romano Impero anche se questa denominazione entrò un uso solo in seguito. Spinto a occuparsi del patrimonio temporale della Chiesa, non trascurò il suo ruolo di riformatore, continuando l’opera iniziata dal padre col concorso di San Bonifacio. Nel 779, benché occupatissimo per le rivolte dei Sassoni, promulgò un Capitolare sui beni della Chiesa e i diritti vescovili, e accentuò la sua azione riformatrice sotto l’impulso dei chierici, e soprattutto di Alcuino e di Teodulfo d’Orleans. La celebre “Admonitio generalis” del 789 mostra a pieno la concezione di Carlo Magno in materia di politica religiosa, richiamandosi all’esempio biblico del Re Giosia per il quale il bisogno più urgente è ricondurre il popolo di Dio nelle vie del Signore, per fare regnare ed esaltare la sua legge., l’incoronazione imperiale del giorno di Natale dell’anno 800 non fu che il coronamento d’una politica che il papato non poté fare a meno di riconoscere. Per quanto la sua vita religiosa personale ci sfugga, sappiamo che egli teneva molto all’esatta osservanza dei riti liturgici che faceva celebrare, specialmente ad Aquisgrana (odierna Aachen), con sontuoso decoro. Nel 1165 viene santificato dall’antipapa Pasquale III  su ordine di Federico Barbarossa. Ci fu imbarazzo per questa santificazione in ambito cattolico a causa  della vita privata non irreprensibile dell’Imperatore.  La sua solennità è fissata alla prima domenica dopo la festa di Sant’Anna. A Metten ed a Mùster (nei Grigioni) il culto è “tollerato” per indulto della Santa Congregazione dei Riti. Alcuino, nato nel 730 c.a. divenne il più importante consigliere culturale di Carlo Magno ed il suo riformatore della scuola palatina. Egli ha svolto un ruolo determinante nella teologia di questo periodo, anche se non dice cose nuove, facendo un’esposizione molto precisa e concisa sulla demonologia nella sua opera Confessio fidei in cui sostiene che il diavolo non è stato creato tale da essere diavolo, poiché Dio non ha fatto il male ma per il vizio della superbia da se stesso  è diventato diavolo. Alcuino afferma che l’origine del male non sta in Dio ma nel libero arbitrio delle creature razionali. Dopo la caduta, il diavolo con i suoi complici vaga nell’aria, insidiando la salute dei fedeli. Tuttavia Alcuino, crede, seguendo in ciò l’opinione più comune che gli spiriti maligni non abbiano il potere di conoscere i pensieri del cuore umano, ma solo le loro manifestazioni esterne, poiché solo Dio conosce i segreti del cuore. Egli sostiene anche che i cattivi pensieri non sempre non sono suscitati dagli stimoli diabolici, ma spesso dal movimento del nostro arbitrio. La fine del diavolo e dei suoi angeli è oramai segnata irrevocabilmente, poiché essi non potranno ritornare nella dignità angelica primitiva. Alcuino è dell’opinione che il diavolo abbia un corpo, perché solo il creatore sussiste incorporeo . Il diavolo è caratterizzato dall’odio e dall’invidia verso Dio e verso l’uomo, fine a volerne la morte perché è omicida e negatore della verità e ciò costituisce il suo stato di disperazione. L’uomo ricoperto della forza di Cristo e irrobustito nel libero arbitrio, può resistergli ed essere più forte. Acuino fu un tipico esponente della cultura medioevale, dai suoi numerosi carmi c’è una preghiera  dedicata ai tre arcangeli del canone cristiano volta ad invocarne la protezione sul genere umano.

Agli Arcangeli

Protegga questo altare l’onnipotente arcangelo Michele,

Per opera del quale era stato vinto e scagliato lontano,

Dall’alta cime del cielo, il perfido dragone,

     Che sempre brama di scagliare accuse contro i fedeli.

Gli è compagno nel proteggere questo altare  venerando Gabriele,

     Che risplende di pietà e di virtù nella rocca del cielo.

Dalla sua bocca la vergine Maria apprese

     Che avrebbe generato Dio, salvezza eterna del mondo.

A loro si aggiunge Raffaele, il quale guarì gli occhi di Tobia

     E fece da guida al figliolo.

Con le nostre preghiere imploriamo questi tre santi di stare qui presenti,

     Perché Cristo dal cielo ascolti i suoi servi.

(Da La preghiera dei cristiani, Fondazione Lorenzo Valla – Mondadori, Milano 2000).

Ad Alcuino di York, chiamato da Carlo magno a dirigere la Shola palatina, è attribuito  pure un altro inno in onore di San Michele e dedicato allo stesso imperatore Carlo Magno, nel quale l’Arcangelo figura come “principe delle schiere celesti”, abbattitore del crudele drago”, dalla vendetta ha strappato “la maggior parte delle anime”. Per la prima volta gli viene inoltre attribuita la funzione di sacerdote celeste: egli è colui che “tiene in mano il turibolo d’oro nel tempio del Signore”, innalzando nuvole d’incenso che giungono fino “al cospetto di Dio”. In un’iscrizione d’altare attribuita allo stesso Alcuino Michele, è “l’etero principe (aethereus princeps)” e il “primo maestro”, nonché colui che “reca le devote preghiere, i sacrifici offerti nel culto, alle altezze segrete dei cieli, allo sguardo del Dio sommo”. Di questa eccezionale importanza di Michele nel cosmo offre un arditissimo riconoscimento un altro inno di due secoli posteriore a quello di Alcuino e sorto nell’ambito culturale gotico allora presente in Spagna. Qui Michele è chiamato “pietra angolare nella reggia delle Dominazioni”, emerge “dalla schiera delle Virtù, irradiando luce “nella corona dei Principati e delle Potestà”. Lo stesso coro dei Cherubini lo onora come “portatore del fuoco espiatore”, mentre egli con la sua sacra lancia “brilla in mezzo ai Serafini”. Quale greti già “da prima della creazione del mondo”, egli può stare “presso il trono del Creatore”. Se consideriamo che Michele, in quanto Arcangelo, appartiene a un grado relativamente  inferiore nella scala degli esseri spirituali, simili attribuzioni possono sorprendere. L’immagine di lui risultante dagli inni summenzionati i quali non sono che esempi tra i tanti, sembra sconvolgere l’intero ordine della gerarchia celeste. Che cosa è avvenuto? Per comprendere le ragioni di questo apparente sconvolgimento, dobbiamo guardare alla tradizione relativa al “combattimento nei cieli” svoltosi ai primordi in questione. Prescindendo dalle diverse variazioni e aggiunte, quella tradizione , nel suo racconto essenziale, parla di un intervento di Michele per liberare il mondo celeste dalla presenza di uno spirito ribellatosi a Dio per mera superbia, o secondo alcune versioni, per gelosia nei riguardi dell’uomo appena creato e precipitarlo nell’abisso, da dove avrebbe poi tentato l’uomo stesso. Nel far ciò Michele agisce per puro amore verso l’ordine divino presente nell’universo. Il suo intervento però non risulta semplicemente dalla “natura delle cose”, ma è frutto di una libera iniziativa del suo volere. Il ruolo eccezionale che gli verrà d’ora in poi riservato nel cosmo, non deriva da una sua qualità di natura – egli è e resta un Arcangelo -, ma da una sua qualità morale. Essa lascia intravedere un nuovo atteggiamento nei confronti del male, che non è soltanto evitato, ma affrontato e vinto, non in nome proprio, ma in nome del Bene originario. E’ questo a conferire al suo essere una dignità unica, facendolo rifulgere di uno splendore prima ignoto. Il suo atto lo avvicina all’uomo, costretto anch’egli a misurarsi con le potenze del male, e accorda fin dalla origini il suo agire con l’agire di Colui che, per decidere le sorti dell’uomo, discenderà fino a lui, condividendone la natura. Michele è dunque lo spirito destinato a seguito Cristo nella sua discesa dal cielo alla terra per venire incontro all’uomo. Numerosi documenti mostrano come ciò fosse avvertito durante l’epoca di cui ci stiamo occupando. Nel già menzionato inno di provenienza gotico – spagnola egli è descritto come colui che, “fedele in quanto creature al suo Creatore, non abbandona il suo regno”, ed è questo a far sì che “Satana sia respinto nell’abisso”. Egli dunque combatte il drago in virtù di una pura presenza interiore, “permanendo nella pienezza della luce”, come è detto in un altro inno. A ciò allidono anche le più antiche testimonianze della pittura e della scultura. In esse Michele non guarda in faccia il drago, ma il suo sguardo è volto in direzione orizzontale, propriamente verso l’interno, lo spirituale. Talvolta non ha neanche bisogno di combattere: per la sua semplice, regale presenza il drago è vinto. Solo nelle raffigurazioni posteriori il conflitto comincia a farsi drammatico e Michele fissa il nemico, in concomitanza con una più diretta esperienza del male da parte dell’uomo. Per la sua eccezionale posizione di intatta coscienza celeste al confine col mondo terrestre, Michele appare come “il volto delle gerarchie celesti”. Egli vorrebbe restituire all’uomo la coscienza del mondo sovrasensibile. Questo tipo di rapporti risulta anche dal criterio con cui Alcuino articola il corso di studi per gli allievi, chierici e laici, della Schola Palatina, al cui modello si conformerà l’istruzione per molti secoli. In un suo dialogo dedicato alla prima delle arti liberali, la Grammatica egli fa spiegare dal maestro perché il corso di studi debba prendere le mosse dalle arti liberali: “Penso – dice il maestro agli allievi – che voi dobbiate essere condotti per certi gradi di erudizione, dagli inferiori ai superiori, finché a poco a poco crescano in voi le ali delle facoltà grazie alle quali, elevandovi alla visione del puro etere ( ad altiora puri aethesis spectmanina volantes) , possiate dire: “Ci ha introdotti il re nelle sue stanze segrete, in esse ci rallegreremo ed esulteremo /variazione da Ct 1,4)”. Spiega quindi che,come la Chiesa ha edificato la sua casa sulle sette colonne che sono i doni dello Spirito Santo, “così la sapienza si fonda sulle sette colonne delle arti liberali, e non si può giungere alla desiderata perfezione della scienza se non salendo per quelle sette colonne o gradini”. Dopo aver enumerato le sette arti liberali, il maestro esprime l’auspicio che “la vostra giovinezza , o figli carissimi, percorra quotidianamente queste vie, finché un’età più natura e un animo più vigoroso giungano alla vetta delle Sacre Scritture”. La scienza speculativa delle arti liberali, che giunge alla contemplazione del “puro etere”, è dunque grado preparatorio allo studio delle Sacre Scritture, nelle quali rifulge la sapienza divina. La disciplina delle arti liberali può essere veduta come un cammino che eleva l’uomo al sovrasensibile. Essa lo educa a contemplare nella natura sensibile la presenza e l’azione di un mondo invisibile, permettendogli un interiore rapporto con gli esseri che lo costituiscono. Per questo nel dialogo è detto che i pensieri degli uomini passati per una simile disciplina sono “cibo degli angeli e ornamento delle anime” (rationes esse angelorum cibum , animarum decorem). Grazie ai nessi cosmologici che essa gli dischiude, l’uomo può accostarsi con maggiore consapevolezza a ciò che le Sacre Scritture vogliono rivelargli. Le arti liberali lo hanno condotto alla soglia del tempio, nel quale l’esperienza terrena trova il suo ultimo significato. Egli lo potrà ora varcare come colui che tale esperienza ha attraversato consapevolmente. E’ il medesimo rapporto  che l’architettura romanica esprimerà nello spazio. La cappella Palatina di Aquisgrana offre uno dei primi esempi di un altare dedicato a san Michele e situato presso la finestra e all’ingresso del luogo sacro. L’esempio avrà ampio seguito, anche nelle strutture monastiche, talvolta con varianti originali, quali cappelle o torri esterne all’edificio principale, ma adiacenti comunque all’ingresso. In tutti questi casi Michele appare come colui che vigila sulla soglia che separa il mondo terrestre da quello celeste. Grazie al suo aiuto l’uomo si prepara a varcarla come rappresentante del mondo terrestre, recando da questo i voti che offrirà nel luogo in cui discende la grazia celeste. Presso l’altare di san Michele della cappella di Aquisgrana fu posto , se non già ai tempi di Carlo Magno, poco più tardi, il trono imperiale. Ciò è indice di come l’imperatore sentisse la propria funzione legata all’influenza spirituale dell’Arcangelo. Anch’egli, come l ‘Arcangelo, doveva guidare le sorti del mondo terreno in modo che l’accesso alla realtà trascendente restasse costantemente aperto, senza interferire per altro nel dominio della stessa. La sua era in modo eminente una funzione “cosmologica”, il cui rapporto con la competenza del sacro era simile a quello intercorrente tra le arti liberali e la teologia. Si ebbero così imperatori devoti a  San Michele, quali Enrico II di Sassonia e Federico Barbarossa, ed imperatori “filosofi” quali Federico II di Svevia e Carlo IV di Boemia. Ma ritornando a Carlo Magno, l’imperatore nella sua guerra contro i sassoni volle che sulle bandiere del suo esercito fosse effigiato san Michele con il motto: “ Michael princeps magnus venit in adiutorium mihi”.