La “Missione” della Chiesa, la Chiesa delle “missioni”

“La  fede  è  dono  prezioso  di  Dio,  il  quale  apre  la  nostra  mente  perché  lo  possiamo conoscere ed amare. Egli vuole entrare in relazione con noi per farci partecipi della sua stessa vita e rendere la nostra vita più piena di significato, più buona, più bella. Dio ci ama! La fede, però, chiede di essere accolta, chiede cioè la nostra personale risposta, il coraggio di affidarci a Dio, di vivere il suo amore, grati per la sua infinita misericordia. E’ un dono, poi, che non è riservato a pochi, ma che viene offerto con generosità”. Cari  amici  e  amiche,  come  commentare  queste  parole  straordinarie  di  papa  Francesco del  suo  Messaggio  per  la  Giornata  Missionaria  Mondiale?  La  fede  è  dono  prezioso  di  Dio. Quella fede che ogni uomo, in un modo o nell’altro, cerca e brama durante tutta la sua vita. Nei miei  pochi  anni  di  sacerdozio  e  di  pastorale  in  parrocchia,  nell’AC  e  all’Università, tantissime volte mi sono imbattuto in persone che, con sincerità, si sono avvicinati per parlare del dono della  fede. Persone  che  chiedevano  come  fare per  continuare ad avere  fiducia nel Signore e nella sua Chiesa, soprattutto in situazioni particolari della loro vita. Quante  confessioni e quante  chiacchierate  confidenziali. Ricordo  con grande piacere  le bellissime settimane di animazione missionaria all’Università, quando tanti professori aprivano le porte delle  loro aule durante  le  loro ore di  lezione, perché gli studenti potessero ascoltare l’esperienza  di  tanti  missionari  e  missionarie  che  erano  entusiasti  di  raccontare  la  loro esperienza di fede, che si concretizza nell’esperienza missionaria.  Quante critiche ed obiezioni da parte di quegli studenti. Una delle espressioni che più ci faceva soffrire era: “ho tanta stima di voi missionari, perché siete i veri testimoni di Cristo, ma la Chiesa non  lo è”. Quanto  era difficile  far  capire  che  i missionari  sono  tali proprio a nomedella Chiesa, quella Chiesa che siamo noi battezzati così come ci ha ricordato  lo stesso papa Francesco  nel  suo  messaggio:  “La  missionarietà  non  è  solo  una  questione  di  territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché  i  “confini” della  fede non attraversano  solo  luoghi e  tradizioni umane, ma  il  cuore di  ciascun uomo e di  ciascuna donna. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare  i confini della  fede, sia proprio di ogni battezzato e di  tutte  le comunità cristiane:  «Poiché  il  popolo  di  Dio  vive  nelle  comunità,  specialmente  in  quelle  diocesane  e parrocchiali,  ed  in  esse  in  qualche  modo  appare  in  forma  visibile,  tocca  anche  a  queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni» (Decr. Ad gentes, 37)”. Ognuno  di  noi,  dunque,  è  chiamato  a  compiere  la  volontà  di  Dio,  che,  cioè,  tutti  gli uomini conoscano Cristo perché la loro vita sia più piena di significato, più buona e più bella. Noi siamo già buoni e bravi probabilmente. Ma di certo  l’incontro con Cristo non  fa altro che aiutarci a prenderne coscienza e a vivere la nostra vita in piena libertà e a servizio degli altri, soprattutto dei più poveri, come Lui ci ha insegnato. Ecco allora  il perché di questo  titolo: La Missione della Chiesa,  la Chiesa delle missioni. Troppe volte, purtroppo, noi cristiani  invece di  fare nostra  l’unica e vera Missione di Cristo e della  sua  Chiesa,  facciamo  di  tutto  per  realizzare  progetti  nostri  personali,  magari  anche disobbedendo  alla  Chiesa.  Se  ci  diciamo  cristiani  dobbiamo  imparare  a  vivere  da  tali,  cioècome  seguaci  di Cristo  e  suoi  imitatori  in  tutto.  Per  poter  realizzare  quest’unica Missione  di Cristo è chiaro che lo si possa fare solo se si resta uniti e solo se si vive la comunità, così come ci  dice  papa  Francesco. Nessun  prete,  nessun  consacrato  o  consacrata,  come  nessun  buon fedele  può  essere  missionario  della  Chiesa  da  solo.  Ma  lo  sarà  e  porterà  frutti  solo  nel momento in cui si sottomette e si lascia guidare dalla sua comunità diocesana o parrocchiale. La nostra diocesi forse è tra le prime diocesi in Italia per le offerte della GMM e forse è anche  una  delle  prime  diocesi  d’Italia  nella  realizzazione  di  molteplici  progetti  caritativi  e umanitari sparsi  in  tutto  il mondo. Quasi ogni parrocchia della nostra diocesi è  legata ad un progetto missionario, o contribuisce alle adozioni a distanza. E tutto questo rende orgogliosa la nostra Chiesa  locale e  il Signore ci renderà merito di tutto  il bene che riusciamo a realizzare. Forse,  però,  siamo  chiamati  a  perfezionare  questa  nostra  opera  caritativa,  partendo dall’unione tra di noi. Credo che vivendo assieme e essendo missionari assieme, nonostante le nostre  diversità,  potremmo  fare  di  più  e  meglio,  ma  soprattutto  potremmo  essere  e  fare secondo la volontà di Cristo, il quale ha pregato il Padre chiedendo che i suoi siano una cosa sola come Lui e  il Padre sono una cosa sola (cfr. Gv 17, 21). Solo così potremmo veramente dirci  cristiani e vivere  la nostra vocazione missionaria  lì dove viviamo e  come possiamo.  Chi crea divisioni di ogni  tipo all’interno della Chiesa non può dirsi  cristiano. Facciamo nostre  le parole di san Paolo: “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12, 18). Quindi sforziamoci di essere testimoni di pace e di unità perché il mondo tutto creda in Cristo e alla sua Chiesa e diventi suo discepolo. Quando sono in Italia una delle domande frequenti, a volte anche di confratelli, è: ma tu cosa fai in missione? Non nascondo che qualche volta ho voglia di non rispondere, perché non saprei veramente cosa rispondere. Perché è come chiedere ad un medico missionario o di una ONG:  ma  tu  cosa  fai  in  missione?  La  risposta  è,  giustamente:  faccio  il  medico  e  curo  le persone. Dunque  cosa  fa un prete o un  laico missionario? Fa quello  che  fa o dovrebbe  fare anche quando è in Italia a casa sua: amare Dio e il prossimo come Cristo ci ha insegnato e far si che anche altri possano credere e  sperare  in Gesù Cristo e diventare  figli della Chiesa.  In che modo?  Attraverso  la  pastorale  ordinaria  della  parrocchia,  amministrando  i  sacramenti  e catechizzando,  prendendosi  cura  delle  scuole  legate  alla  parrocchia  e  di  tutte  le  attività  di sviluppo all’interno del villaggio. Nella sua vita un uomo può  fare e realizzare tante cose, ma se  fa  tutto solo per amor proprio senza  l’amore per  la  famiglia o  la comunità e senza  il  loro coinvolgimento  diretto,  allora  tutto  ciò  che  ha  realizzato  quasi  sicuramente  perirà  con  esso, come  ci  insegna  lo  stesso  papa  Francesco  nel  suo  messaggio  per  l’ottobre  missionario: “Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI scriveva  che  «quando  il  più  sconosciuto  predicatore,  missionario,  catechista  o  Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un Sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa». Egli non agisce «per una missione arrogatasi, né in forza di  un’ispirazione  personale, ma  in  unione  con  la missione  della  Chiesa  e  in  nome  di  essa» (ibidem). E questo dà  forza alla missione e  fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo”. In effetti è proprio questo sentirsi parte della Chiesa che da forza ad ogni cristiano, che decide di essere cristiano autentico e portatore del messaggio di speranza di Gesù là dove vive e  lavora. In Italia, come  in ogni altro paese del mondo, essere cristiani autentici non è  statofacile, non  lo è e non  lo sarà mai, perché si è chiamati ad andare sempre controcorrente,  il che  costa  tanta  fatica e pazienza. Ma  se non  ci  si  sente  soli e  si è  certi di non essere  soli, perché membri dell’unica Chiesa di Cristo, allora anche le più grandi difficoltà possono essere superate e i più grandi pesi possono essere portati, perché condivisi con gli altri. E così oltre la fatica e i dolori si può contare sulla gioia del vivere assieme nella condivisione. Proprio per questo vorrei  ringraziare  tutti voi, cari amici ed amiche, perché ovunque  io mi trova e in qualsiasi situazione di disagio io mi possa trovare, so con certezza di non essere solo, ma  di  essere  in  compagnia  di  tutti  voi  e  della  nostra  amata madre  Chiesa,  che  ci  ha generati alla fede e ci ha permesso di vivere assieme l’esperienza dell’amore. Vorrei concludere con questo pensiero  letto qualche giorno  fa sulla pagina  facebook di un’amica:  “C’è una grande differenza  tra  il piacere e  l’amore.  Se  ti piace un  fiore  lo  stacchi immediatamente,  se  lo ami,  lo annaffi  e  te ne prenderai  cura per  sempre.  (Kristiano Loshi). Ascolto, ascolto attento! Questo è quello  che  il Figlio di Dio  ci ha  insegnato  incarnandosi.  Il vivere assieme non è facile, soprattutto, con persone di culture diverse e con modi di pensare diverso. Spesso diventa ancora più difficile, e direi impossibile, proprio perché ci si chiude nei propri pregiudizi, orgogli, superbie ed egoismi e non ci si mette in ascolto attento dell’altro. E allora ci si arriva a falciare l’altro o perché lo si vuole eliminare o perché lo si vuole possedere. Che il Signore ci aiuti a fare o amare non solo le persone e le cose che ci piacciono o che ci fanno piacere, ma ad amare tutto quello che siamo e che facciamo in nome di Cristo e della sua Chiesa.  Perché  solo  attraverso  l’amore  vero  possiamo  realizzare  il  progetto  di Dio  nella nostra vita. Dio benedica noi tutti perché, per intercessione della Vergine Maria e dei santi Apostoli, primi testimoni del Cristo, sempre nella nostra vita e dappertutto nel mondo possiamo essere testimoni della sua Chiesa di Amore. 24 agosto 2013 Festa di S. Bartolomeo Ap.

 Don Antonio Romano

(PieDONe l’africano)