Valery e gli Angeli

Don Marcello Stanzione

Valéry Paul – Ambroise (1871 – 1945) fu un importante poeta e critico letterario francese. Dopo aver partecipato il simbolismo, dibatté in saggi e dialoghi i rapporti tra esistenza e conoscenza, tra intelligenza e fantasia, inseguendo l’ordine razionale che è sotteso ai sogni e alla poesia: Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci (1895), La serata con il signor Teste (1896), Eupalinos (1921), L’anima e la danza (1923), Varietà (1924-44). La sua lirica nasce, di conseguenza, come dramma intellettuale, pur rivolgendosi in immagini di straordinaria luminosità e plasticità:  La giovare Parca (1920), Il cimitero marino (poema, 1920), Charmes (1922).  Paul Valéry  nella Jeune Parque  (La giovane Parca, 1917) affronta il tema del risveglio della coscienza in una serie di successive folgorazioni iniziate a Genova, la famosa notte d’ottobre del 1892, quando i fulmini invasero la sua stanza e trapassarono il suo spirito conquistandolo alla meditazione interiore. Si rappresenta, pensieroso e solitario, nell’immagine insieme radiosa e disperata dell’Angelo: “Una sorta di Angelo sedeva sulla sponda di una fontana. Ci si specchiava, e quel che vedeva era un Uomo che piangeva, e si stupiva enormemente che trasparisse dall’onda nuda quella preda d’infinita tristezza”. L’angelo di Valéry si chiede quale sia la sua missione nell’universo: “(Oppure , se preferite, c’era una Tristezza di forma umana che non trovava la propria ragione d’essere nel cielo chiaro). Il volto che era il suo, il dolore che  vi era impresso, gli sembravano completamente estranei. Un aspetto così pietoso coinvolgeva, interrogava, metteva invano a dura propria la sostanza meravigliosamente pura del suo spirito”. L’angelo di Valéry è un’essenza assoluta che tuttavia non può impedirsi di soffrire: “Chi è dunque colui che si ama al punto di torturarsi?” diceva. Io comprendo tutto, e tuttavia mi rendo conto di soffrire. Questo volto è il mio volto, queste lacrime sono le mie lacrime…E tuttavia non sono anche quell’assoluta trasparenza di cui il mio volto, le mie lacrime, e ciò che gli ha dato vita e ciò che li farebbe scomparire, non sono altro che minuscoli granelli di tempo?”. La conclusione è di una spaventosa bellezza. L’angelo, magnifico nella sua perfezione, non cessa peraltro di interrogarsi e di comprendere ogni moto dell’universo senza per questo comprendere il tutto. L’Angelo è incomprensibile infatti  secondo Valéry   e al verso è solo dato di avvicinarsi al mistero: “Così s’interrogava nell’universo della sua sostanza spirituale meravigliosamente pura, dove qualsiasi idea viveva ad eguale distanza tra se stessa e lui stesso, in una tale perfezione della propria armonia e proporzione della propria corrispondenza, che avrebbe potuto provocare la sua scomparsa e in tal caso il sistema, scintillante come un diadema della loro simultanea necessità, si sarebbe eretto solitario nella propria sublime pienezza. Così, il tempo di un’eternità, egli continuò a comprendere e a non comprendere”