Aversa: Sappe denuncia ecatombe suicidi detenuti

“La notizia dell’ennesimo detenuto suicida, domenica sera nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa conferma una volta di più come queste morti siano sempre – oltre che una tragedia personale e familiare – una sconfitta per lo Stato. Il detenuto italiano M.G., 40 anni di Roma, colpevole del reato di rapina ed in attesa di essere inviato in Comunità, si è impiccato alla finestra della cella. Quella delle morti in carcere, per suicidio o per cause naturali, si sta configurando come una vera e propria ecatombe: non dimentichiamo che a Cremona si è suicidato un detenuto l’altro ieri. E se il drammatico numero non sale ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria, che quotidianamente sventano numerosi tentativi di suicidi. Ma bisogna darsi concretamente da fare per un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere, argomento rispetto al quale il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, è da tempo impegnato nonostante la colpevole indifferenza di vasti settori della politica nazionale. Serve un carcere nuovo e diverso perché quello attuale è un fallimento come fallimentari sono le strategie di contrasto pensate dall’Amministrazione Penitenziaria.” Lo dichiara Donato CAPECE, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione al suicidio di un detenuto avvenuta in una cella dell’O.P.G. di Aversa. Il SAPPE torna a sottolineare come “il sovraffollamento delle strutture penitenziarie italiane è certamente un problema storico ed è un problema comune a molti Paesi europei, che hanno risolto il problema in maniera diversa. L’osservazione della tipologia dei detenuti che fanno ingresso in carcere e dei reati di cui sono accusati consente di affermare come il sistema della repressione penale colpisca prevalentemente la criminalità organizzata e le fasce deboli della popolazione: in effetti, il carcere è lo strumento che si usa per affrontare problemi che la società non è in grado di risolvere altrimenti. E il dramma dei suicidi in cella e in carcere è terribile: per questo sollecitiamo adeguate e concrete strategie di intervento, che sono ben altra cosa rispetto alla fantomatica ‘vigilanza dinamica che piace tanto al Capo DAP Tamburino ma che comporta meno vigilanza e sicurezza nei penitenziari”. “Nell’ambito delle prospettive future” conclude Capece “occorre che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema. E la Polizia penitenziaria che riteniamo debba connotarsi sempre più come Polizia dell’esecuzione penale, oltrechè di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”.