Santa Matilde di Hackerbon e gli angeli

  don Marcello Stanzione

“ Assomigliava agli angeli, il cui ministero è di servire, poiché con la sua compiacente carità e la sua affabilità prodigava agli infelici la compassione, ai peccatori la preghiera, ai tiepidi lo stimolo della correzione, agli ignoranti le sapienti istruzioni. Alla maniera degli arcangeli, col suo misericordioso intervento fu messaggera presso il Signore per conto di molte persone.  Non rassomigliava alle virtù, poiché fu illustre modello di tutte le virtù? Possiamo paragonarla alle potestà, perché la onnipotente maestà spesse volte si rimetteva nel suo potere e la rendeva oltremodo potente contro il demonio. Questi, infatti un giorno se ne lagnò dicendo ad un’altra persona, in un’apparizione, che le orazioni di Matilde ogni giorno gli rapivano molte anime.       Ella merita pure un posto a lato dei principati, perché, simile a un principe della milizia celeste, si univa a sua sorella la venerabile madre badessa per governare il monastero con grande sapienza e regolarità tanto nelle faccende temporali, come nelle cose spirituali. Si può con verità associarla con le dominazioni. Si, dominava sopra i propri sentimenti dirigendoli tutti a Dio; dominava sul proprio cuore con una vigile e continua custodia; dominava sopra le proprie azioni, compiendole tutte per amore di Dio. La serenità e la perfetta purezza del suo spirito le meritano il nome di tranquillo e delizioso trono del Signore. Piena di grazia, a chiunque venisse a interrogarla indicava come dovesse vivere e comportarsi, al punto che sembrava rendere oracoli con la bocca di Dio, che in lei risiedeva. Si potrà giustamente paragonarla ai cherubini perché, immersa sovente nella fonte della sapienza e penetrando nelle profondità della luce, come un sole splendente nella Chiesa di Dio, con la scienza e la dottrina illuminava quelli che ricorreranno a lei. Spesso ci confidò che durante la salmodia recitata o cantata il Signore, d’un tratto, le manifestava e le faceva comprendere verità a lei prima sconosciute. Ma conviene paragonare questa vergine angelica soprattutto ai serafini. Sovente , era unita immediatamente con l’Amore stesso, che è Dio; Spesso Dio se la strinse con tenerezza sul suo cuore infuocato, al punto che divenne con Lui un solo spirito di fuoco. Quando parlava di Dio il suo linguaggio era tutto grazioso; ma quando si trattava dell’amore, lo faceva con tanto ardore che ne restavano infiammati tutti quelli che la udivano. Perciò si può dire di Matilde, come di Elia, che le sue parole ardevano come una fiaccola (Sir 48,1)”. Queste parole piene di lode sono indirizzate a Matilde di Hackeborn che nella storia della spiritualità fu la prima grande Mistica del Medioevo. Tutti i suoi scritti sono pervasi dalle fiamme ardenti della sua personalità e pieni di una fantasia che sfiora l’iperbole specialmente quando parla del Sacro Cuore di Gesù di cui anticipa di secoli il culto. Centinaia di anni più tardi, santa Teresa d’Avila e Santa Margherita Alacoque, la ricorderanno nel temperamento e nella spiritualità appassionata. La sua vita terrena cominciò nel 1241 , in seno ad una nobile famiglia di Hackborn , in Turingia, famiglia imparentata con l’imperatore Federico II e che aveva già messo al servizio di Dio, una figlia. Sembra che proprio durante una visita con la madre al convento di Rodersdorf, nella diocesi di Halberstadt, dove si trovava la sorella maggiore. La bambina (aveva allora 5 o 7 anni, secondo le varie cronache) chiese con fermezza di rimanere nel convento vicino alla sorella già monaca, ed alla quale fu affidata perché provvedesse alla sua educazione. La bambina oltre ad una intelligenza pronta e vivace dimostrò presto la sua inclinazione pere la vita monastica e quando la sorella, eletta badessa di Helfta, si spostò nel convento a lei affidato, la seguì nella celebre Abbazia Sassone. Viveva allora nel Monastero un’altra grande personalità religiosa, di qualche anno più giovane di Matilde, Gertrude, che sarà poi chiamata la Grande, e che con Matilde, aveva  più di un punto in comune. Donna dio grande cultura, anche lei attratta dal richiamo mistico insieme ad altre tre donne fece del Monastero cistercense un vero faro di luce per i suoi contemporanei. Infatti, quasi nello stesso periodo sono ben quattro le personalità che lasciarono un segno tanto forte. Abbiamo così Gertrude, la sorella della nostra Santa Matilde di Hackeborn, Matilde di Magdeburgo e Gertrude la Grande, per merito loro il convento di Hefta ebbe una grande notorietà nel Medioevo. Sappiamo, da qualche accenno da lei stessa fatto nel suo “Libro delle Rilevazioni”, che fu maestra di canto nel coro della Cappella, e la musica, insieme ai libri, all’istruzione delle giovani monache e ai molti libri da lei scritti, riempiva la sua vita in un modo totale ed esclusivo. Dopo la morte della sorella, a cinquant’anni, confessò a due sue consorelle, tra cui forse la stessa Matilde la Grande, quella che era stato fino allora il suo segreto: cioè le cose meravigliose che Dio operava in lei da anni e che la rendevano così forte e sicura nella sua fede. Da queste confidenza nacque il “Libro della Grazia speciale” ( Liber specialis gratie) un capolavoro della letteratura mistica del Medioevo che la rese celebre in Germania e fuori. Morì silenziosamente nel 1299 nel rimpianto generale. Boccaccio testimonia che Firenze, già dal ‘300 conosceva il suo “Libro della Grazia Speciale” e qualche studioso di Dante, riconosce in lei la guida che il poeta incontra nel canto XXVIII del Purgatorio: “La donna soletta che si gìa cantando ed iscegliendo fior da fiore”. La Chiesa la festeggia il 19 novembre. La mistica ebbe numerosi contatti con gli angeli e nella sua biografia leggiamo che  prima della festa di san Michele, la serva di cristo, trovandosi in unione familiare con Dio e avendogli chiesto quali omaggi dovesse rendere agli angeli, ricevette questa risposta: “Dirai in loro onore il Padre nostro nove volte, secondo il numero dei cori angelici”. Essa li recitò e volle offrirli al suo angelo custode nel giorno della sua festa, affinché li presentasse lui stesso, agli altri spiriti celesti. Ma Gesù le disse con una specie di malcontento: “A me devi lasciare questo compito, perché adempierlo sarà per me cosa graditissima; sappi che ogni offerta che a me si affida arriva in cielo nobilitata dalla mia mediazione e trasformata con grande profitto, come un denaro che fosse gettato in una massa d’oro in fusione più non apparirebbe ciò che era, ma sarebbe divenuto come oro”. Matilde vide poi un vasto scalone d’oro composto di nove gradini; la moltitudine degli angeli vi aveva preso posto: gli angeli nel primo gradino, gli arcangeli nel secondo e così di seguito, ogni ordine angelico occupando il proprio gradino. Per divina ispirazione, ella intese che questo scalone simboleggiava la vita degli uomini. Così nella Chiesa di Dio, chiunque adempie il proprio ufficio con fedeltà, umiltà e devozione; chiunque per piacere a Dio presta assistenza ai pellegrini o ai poveri e compie verso il prossimo tutti i doveri della carità, sarà posto al primo gradino a livello degli angeli. Quelli che si applicano più intimamente a Dio con la preghiera e la devozione, dando inoltre al prossimo istruzione, consiglio e aiuto, saranno nel secondo gradino con gli arcangeli. Quelli che generosamente praticano la pazienza, l’obbedienza, la povertà volontaria, l’umiltà e tutte le altre virtù, saranno nel terzo gradino con le virtù. Coloro che resistono ai vizi e alla concupiscenza e disprezzano il demonio e le sue suggestioni, riceveranno il loro premio nel quarto gradino massime con le potestà. I prelati della Chiesa che amministrano con  sapienza il loro ufficio, notte e giorno attendono alla salvezza delle anime e con grande cure fanno fruttificare i talenti che Dio ha loro affidato, riceveranno per le loro fatiche il regno della gloria nel quinto gradino, assieme con i principati. Quelli che con sottomissione e rispetto si inchinano davanti alla divina maestà  rendono, per la gloria di Dio, onore al loro prossimo; così pure quelli che, ricordandosi di essere creati a immagine di Dio, si sforzano di rendersi a lui conformi, tenendo la carne sottoposta allo spirito ed elevando la loro anima verso le cose celesti, esulteranno nel sesto gradino, con le dominazioni. Coloro i quali si dedicano a un’assidua contemplazione e, con la tranquillità dello spirito, conservano la purezza del cuore offrendo a Dio una dimora pacifica, si possono chiamare il paradiso di Dio, secondo queste Parole: Le mie delizie sono tra i figli degli uomini, e queste altre: Io passeggerò dentro di loro e vi dimorerò (2 Cor 6,16), costoro si troveranno nel settimo gradino insieme con i troni. Quelli che sono superiori agli altri nella scienza e nella conoscenza e il cui spirito illuminato ha la fortuna di contemplare Dio a faccia a faccia, costoro fanno rifluire verso la fonte di ogni sapienza ciò che vi hanno attinto, per insegnare e illumina il loro prossimo, perciò staranno nell’ottavo gradino, in compagnia dei cherubini. Coloro che amano Dio con tutto il loro cuore e con tutta la loro mente s’immergono perfettamente in quell’eterno fuoco che è Dio stesso e diventano infine così simile a lui che lo amano, come ne sono amati, di un amore veramente divino; amano ogni oca di Dio e per Dio e considerano i loro nemici come amici. Nulla può separarli da Dio, nulla può fermarli, perché quanto più accanita è la guerra che il nemico muove contro di loro, tanto più si fortificano nell’amore, di cui il loro cuore è tutto infiammato; abbracciano anche gli altri con tale carità che, se fosse possibile, li renderebbero tutti perfetti nell’amor di Dio. Oltre le colpe proprie, piangono i vizi e i peccarti altrui, perché amano e ricercano unicamente la gloria di Dio e non la loro propria: costoro staranno nel nono giardino, vicini a Dio, con i serafini. Occuperanno, quindi, il primo posto, perché fra i serafini e Dio non vi sono altri spiriti. Riguardo poi ai cori angelici mentre si scriveva la sua biografia all’insaputa della santa, questa sentì un giorno, durante la messa, una voce che chiamò col suo nome la persona cui ella ordinariamente rivelava i suoi segreti. La voce soggiunse: “Quale sarà, pensi tu, la sua ricompensa per ciò che ha scritto?”. Meravigliata e stupita, Matilde  interrogò la sua intima amica per sapere se per caso stesse scrivendo quanto le confidava. L’amica si scusò del suo meglio non volendo confessare, e le disse che interrogasse piuttosto il Signore. L’indomani, mentre Matilde salutava la beata Vergine Maria, il Signore le disse: “Sta’ in silenzio; prendi tutto ciò che ti do e sta’ contenta di goderne”. Malgrado queste parole;  ella restava sospesa e ripeteva le sue domande; ma se ne rimproverò pensando che l’obbedienza vale meglio del sacrificio (1 Re 15, 22) e non ardì andare più avanti. Ed ecco d’un tratto apparire due angeli che la portavano in alto. Mentre si reputava indegna di un tale favore divino, gli angeli dicevano: Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre (Sal. 44, 11). A queste parole la santa intese che quando Dio si degna di elevare un’anima a una contemplazione profonda, quella deve dimenticare se stessa e persino i suoi peccati, per potersi dedicare più prontamente a Dio e a quelle cose che le vengono rivelate. Gli angeli la condussero sino a una casa splendida e spaziosa, dove vide i nove cori angelici ordinati gli uni sopra gli altri in una maniera tanto ammirabile quanto incomprensibile, perché formavano, per così dire, una figura che somigliava a una tartaruga. In cima, sopra il coro dei serafini, stava il trono di Dio, e vicino v’era quello della beata Vergine Maria. Matilde vide allora come le gerarchie celesti si rimandassero a vicenda un raggio. In tal modo, il raggio di amore infiammato, uscendo da Dio, si portava direttamente sui serafini, dai quali passava in tutti gli altri cori., i serafini comunicavano dunque agli altri cori la luce che avevano ricevuto direttamente. L’anima, portandosi ai piedi del Signore, lo salutò dal più profondo del cuore e il Signore le disse: “Ecco che io ti do la mia pace, affinché nessuna inquietudine t’impedisca di venire a me”. Ella, infatti, era stata talmente rattristata, che per una intera settimana le era stato impossibile di unirsi al Signore nell’intima pace del cuore. Ricordando le parole che aveva udito il giorno prima, domandò al Signore se veramente la sua confidente avesse scritto qualche cosa, e se quella voce meritasse attenzione. Il Signore rispose: “Non avere né timore né fastidio; lascia che faccia ciò che fa; io stesso sarò il tuo cooperatore e il suo aiuto”.