Unità nazionale tra vecchio e nuovo di Michele Bianco in Sinestesie

Rita Occidente Lupo

Un  approccio all’Italia post unitaria ed ai mali che non sancirono uno Stivale compatto, evidente nello spaccato, a cura di Michele Bianco, in Sinestesie, rivista di studi sulle letterature e le arti europee, che si avvale d’un comitato scientifico pregevole. Accademici e cultori umanisti, penne che alacremente evidenziano vizi e difetti, commisti a pregi, per quelle luci che in ogni caso coesistono sempre con le ombre. In ogni momento storico, la foga di tanti, la ressa di molti: la creatività ed il genio, a braccetto col sapere e con l’empasse tra vecchio e nuovo, companatico al quotidiano andare. L’Italia odierna, con un retaggio ottocentesco molto evidente. Le pagine di Bianco, plurilaureato, docente di Etica Universale ed Etiche Contemporanee al Master II Livello all’Università di Bari, con estrema perizia tracciano un identikit dell’Italia post unitaria, tratteggiando i tanti mali, di cui oggi ancora riscontro nell’odierna società. Un Sud che continuava a restare indietro, rispetto ai processi unitari, con una marcia in meno. Ceti inferiori, sempre fuori dalla storia, pur facendo, le masse, la storia. E il primo secolo dell’unità, quasi in sordina: non analoga sorte per il 150°, enfaticamente annoverato anche sulle piazze. Identità nazionale fragile, in quanto il processo unitario, stigmatizzava un Paese solo politicamente costituito ovverossia monco di analogo grado di sviluppo sull’intero territorio. Baer parlò d”immaturità” nel  punteggiare proprio tornaconto, anteposto a benessere sociale. I mali contemporanei dunque, quelli che impediscono alla politica di casa nostra, di sanare situazioni incancrenite, che registrano costantemente allo sbando menti e vite convulse, non appannaggio del nostro terzo millennio soltanto. Un’ Italia non pronta a ricevere “il dono unitario”, transitato sul cruento sacrifico d’eroi. Untori di  pagine risorgimentali col proprio olocausto: in preda all’emigrazione ed allo scatto d’orgoglio del Nord, verso un Sud, giammai affrancato. Un nuovo Stato, che raccoglieva l’eredità borbonica, tra disuguaglianze economiche e sociali, con una situazione agricola in ostaggio del dazio. Anche la piaga dell’analfabetismo, fustigava il Paese. Specialmente nelle zone favorevoli agl’insediamenti. E l’occupazione lavorativa, accelerava i giovani anni, spingendo nelle sacche del lavoro minorile, teen ager in preda alla spensieratezza. Accattonaggio e mendicità con “imbarco” e traffico umano, mali di uno spaccato sociale che non lasciava intravedere spiragli emancipanti. Un’Italia post risorgimentale con tanto d’intese, al tavolo dei fini tessitori alla Cavour, constatatori di come fatta l’Italia, occorresse fare gl’italiani! Tra passato e presente, uomini  e liberi pensatori, giornalisti e storici, che riscontrando l’accelerata borghese, non poterono non appellarsi allo spirito critico, di chi intese porgere la propria tessera umana, a quel vasto processo che nell’inglobare vecchio e nuovo, passato e presente, sfilacciava i margini della questione sociale a tappeto. Oggi, con alle spalle un 150° a suon dell’Inno mamelico, lo spettacolo di una politica egoistica, di un Sud arrancante, ma anche di un Nord, che non riesce a spiccare il volo produttivo, a causa di una crisi generale che avviluppa il Paese: amarcord la Campania del sole, un Paese felix, tra ingialliti manuali di storia patria!