Salerno: Museo Città Creativa, Ogliara, in mostra “Negritude della ceramcia vietrese”

Dall’ 11 maggio sarà visitabile l’esposizione, “Negritude della Ceramica Vietrese. Da Riccardo Dòlker a Salvatore Procida” curata da Giorgio Napolitano e Maria Grazia Gargiulo. Da sempre impegnati nella ricerca e lo studio sulla Ceramica, i due curatori si interessano a un periodo poco noto e mai studiato della ceramica vietrese. In questa mostra sono esposte circa 30 opere in ceramica, per la gran parte inediti. Il desiderio di conoscenza, il confronto con culture completamente diverse, l’esplorazione di un quotidiano inusuale, spingono Riccardo Dölker nel 1925 ad incontrare l’Africa della cultura dell’animismo, del non ancora coinvolgimento della modernità e delle sue meccanizzazioni. Dӧlker ci presenta, attraverso la sua sensibilità, una dimensione umana che ha ancora rispetto della natura ed è immersa in una sorta di panteismo originario. La sua indagine iconografica di quel mondo è lontana da risvolti folcloristici; egli lega le sue figure, con sapere intuitivo, a quella condizione vitale di fusione tra uomo, natura e divinità. I codici di riferimento di questa realtà si traducono in immagini coincise; le attività primigenie, la caccia, la pesca, la pastorizia, il trasporto raccontano queste identità segniche. Il concetto di negritude nasce alla fine degli anni Quaranta del Novecento ed uno dei suoi propugnatori è Senghor: “Il Negro è l’uomo della natura” e l’emozione è il suo modo di conoscenza; la negritude è tensione dell’anima, è il progetto dell’essere-nel-mondo-del negro. Recita Diop…Ascolta più spesso le cose che gli esseri…La Voce del fuoco si sente, ascolta la voce dell’acqua…ascolta nel vento i cespugli in singhiozzo. E’ il respiro degli antenati… Alla stessa fonte originaria di condizione umana si alimentano le forme espressive ceramiche di Salvatore Procida. Le sue figurazioni nascono dalla necessità di esprimere le vicende, i miti, le ritualità, in questo senso Procida ha una modalità sacro-religiosa di avvicinarsi agli uomini ed alla natura. Egli trova linee di affinità con l’espansione che avveniva, in quel tempo, del concetto di negritude sia artistico – citiamo Picasso – che antropologico. La forza plastica di Procida travalica i limiti formali, si tinge di atmosfere oniriche, di rituali arcaici, ponendo la sua ricerca estetica distante dalle usuali letture. Essa comunica la sofferta sensibilità dell’artista ed il disancoramento da una pratica ceramica ornamentale non più rispondente alla sua istintiva intelligenza. Le sue forme ceramiche d’Africa vanno oltre il senso decorativo e comunicano valenze primordiali ed archetipiche. L’immaginario di Salvatore Procida di una condizione espressiva di autenticità coinvolge i ceramisti vietresi suoi contemporanei; essi per circa un decennio, fino ai primi anni Sessanta, realizzeranno ceramiche fantastiche “negroidi” in cui le ragioni antropomorfiche fanno affiorare un linguaggio neo-cubista. Sulle loro ceramiche aleggia l’atmosfera della maschera e la potenza dell’idolo, si agita un mondo di forze ancestrali tese tra divino e natura. Perfettamente aderente a tali significatività è l’uso dello smalto vetroso o fermentato dal fuoco; esso si screpola o si addensa, avanza ad imprigionare forme indicibili individuando una ceramica vietrese dalle motivazioni surreali. Patrocinio del Comune di Salerno. In collaborazione con la Galleria Arti Decorative di Napoli, sponsor dell’evento.