Baronissi: Moscatiello “L’ultima carta – la lista dei sindaci”

L’esito del voto e le incerte prospettive di assicurare un governo all’Italia, capace – per autorevolezza e consenso – di risolvere i suoi tanti problemi, ci obbligano a qualche riflessione sulla situazione politica e istituzionale in cui versa il nostro Paese. È indubbio che l’aspetto più acuto della “malattia” sia rappresentato oggi dalla drammatica congiuntura economica e sociale, solo qualche giorno fa riassunta dal rapporto annuale del Censis.

Aumento della disoccupazione, altissima tra i giovani;

  • crisi della produzione industriale con picchi di cessazione dì’attività molto alti tra le piccole e medie imprese; abbassamento acuto dei consumi, con conseguenti ripercussioni su migliaia di attività commerciali che sono costrette alla chiusura;
  • aumento drammatico delle famiglie sotto il livello di povertà;
  • abbandono del Mezzogiorno in cui in vaste aree i redditi pro-capite sono inferiori alla Grecia, di cui è nota a tutti la drammatica deriva;
  • assenza totale di una politica industriale di livello nazionale;
  • assenza totale di una politica energetica;
  • peggioramento dell’efficienza della Pubblica Amministrazione con punte insopportabili – indegne di una società civile – nel comparto carcerario, sanitario, della giustizia civile;
  • depauperamento dei tesori naturali del turismo, dell’arte, paesaggio;
  • livelli bassissimi – nel confronto europeo e mondiale – di competitività del nostro sistema scolastico, con punte imbarazzanti nei segmenti medio-alti nel ciclo di istruzione.
  • Questo è, in sostanza, il “panetto” essenziale, quello, senza il quale, si muore d’inedia.Ma certamente vanno compresi anche il livello del forno e le capacità del fornaio. Fuor di metafora, è opinione diffusa e condivisa, credo ormai largamente, che lo stato in cui versano le nostre istituzioni sia decrepito e funga – di per sé – da freno a qualunque azione o attività riformatrice. L’assetto parlamentare, con il bicameralismo perfetto, è un’anticaglia post-bellica, da decenni ritenuta incompatibile con una normale esigenza di governo. È fallita l’ipotesi costituzionale che assegnava un ruolo legislativo alle Regioni, per l’evidente invasione di campo di quest’ultime, divenute elefantiaci corpi di amministrazione diretta. La ripartizione di competenze tra Stato centrale, Regioni, Province e Comuni genera sovrapposizioni e allentamenti paralizzanti. La stessa Europa, straordinaria idea di cornice comune di libertà, è ridotta a una pericolosa distante e disprezzata oligarchia di burocrati, capace di sfornare regolamenti degni dei principi bizantini, ma assolutamente cieca e muta dinanzi alle esigenze di tutta l’area continentale. E col “fornaio”non siamo messi meglio, anzi. A mio avviso è proprio la crisi della classe dirigente ad aver alimentato, diffuso e dialettizzato una cronica incapacità di risposte che, a sua volta, ha determinato le condizioni gravissime in cui versa la situazione economica e sociale.

E ciò vale per l’Italia e per l’Europa. Ma restiamo in Italia.Per un paio di decenni, dopo la tragedia della 2° guerra mondiale, i gruppi dirigenti italiani, intesi in senso tout court (politici, economici, produttivi, intellettuali), seppero guidare uno slancio vitale e incanalare la società italiana verso una rinascita e uno sviluppo, che sorprese tutto il mondo. Venivamo da un Paese distrutto, affamato, senza più strutture produttive, dilaniato da una dittatura e da una guerra civile. Eppure la leva del riscatto e della rinascita fu talmente forte e diffusa da consentire al popolo italiano di entrare nell’èlite dei Paesi più competitivi e di assicurare a vaste fasce della popolazione livelli di benessere abissalmente lontani rispetto a quelli goduti dalla generazione precedente. In quei due decenni si registrò l’unico periodo nella storia d’Italia in cui diminuì il divario tra Sud e Nord. Da allora abbiamo assistito, e sarebbe troppo lungo spiegarne qui tutti gli innumerevoli motivi, ad un progressivo allontanarsi tra il popolo e i suoi rappresentanti istituzionali e politici, come si è del resto assistito ad un affievolimento e poi ad una desertificazione anche di ceto dirigente nei settori imprenditoriali, sindacali, intellettuali. Questo fenomeno è coinciso, per quello che qui ci interessa, con il collasso dei partiti. La diaspora dei socialisti; la fine della DC; la trasformazione del PCI in un soggetto abortito sul nascere senza vene riformiste; l’approdo della destra sociale in un partito personale; e infine – per l’appunto – la nascita di un partito personale, senza dirigenti, il cui unico totem era la comunicazione televisiva.La vita ci ha riservato anche la conoscenza dell’affermazione di un partito – non partito, senza regole, senza sedi, senza attivisti conosciuti, che affida al web e non più alla TV la sua comunicazione pubblica.È storia troppo recente quella di un continuo rincorrere verso il vuoto, non verso il pieno, da parte di tutti gli attori partitici: quindi prima verso il padrone delle televisioni, oggi verso il titolare del blog. Le conseguenze sono state quelle di annullare ogni elaborazione collettiva, ogni fase di analisi, ogni possibilità di costruire comunità, di allevare donne e uomini che dimostrassero passione e competenze, dedizione e predisposizione all’agire politico. La soluzione del ceto di rappresentanza, complice anche una legge elettorale che (caso unico nel mondo occidentale) impedisce all’elettore di scegliere la persona, ha ormai depositato negli anni una cortigianeria rinchiusa nel palazzo da cui promana il “suo” potere; distante anche fisicamente dalla gente e dai territori; incapace di qualsiasi elaborazione programmatica e tantomeno di battaglie politiche nell’interesse generale; travolta da un uso sproporzionato e vergognoso dei soldi del finanziamento pubblico ai partiti (cassato per volontà popolare referendaria, quintuplicato da decisione del Parlamento). I partiti e i loro rappresentanti sono oggi tra i soggetti più insultati e odiati dalla popolazione. È, questo, un corto-circuito democratico. Come dimostra il risultato al Movimento 5 stelle, ciò che apparirebbe impossibile in una Nazione che ha fondato il diritto e ha inventato la politica moderna con Machiavelli, diventa invece reale. Ci aiuta Pirandello, nel suo “Sei personaggi in cerca d’autore” a ricordarci che alcune cose “non hanno neppur bisogno di parer verosimili, perché sono vere”. Non dimentichiamo che, se aggiungiamo il numero dei non votanti al voto espresso per il Movimento 5 stelle, si raggiunge il 52% degli aventi diritto. Medesima percentuale nella grande regione Sicilia non ha partecipato alle ultime consultazioni elettorali. Se, quindi, a questo punto della nostra sommaria sintesi ci imponiamo una ricerca logica, parlante, autorevole per uscire fuori dalla stanza di rianimazione in cui è costretta l’Italia, non possiamo che partire dall’individuazione di un ceto dirigente che possa avere l’autorevolezza, la credibilità, la forza morale per proporre una soluzione. Poiché, a mio avviso, questo è il punto cruciale. Sulle scelte programmatiche, sul “panetto”, una soluzione si potrebbe anche trovare: forse di corto respiro, forse solo di emergenza, ma sarebbe ancora possibile. Ciò che è impossibile, oltre ai lavori di adeguamento del forno, sarebbe un fornaio accettato dagli italiani. Troppo è il marcio che è colato già. Troppe e siderali le distanze dal dolore vero che si respira nel Paese. Troppo alta l’inconsistenza della forma e dell’assetto dei partiti oggi sulla scena. Comicamente (è il caso di dirlo) inadeguati a rappresentare una vera tragedia. Tralascio di elencare le prese di posizione di tutte le forze in campo espresse in questi giorni, nessuna in grado di porre al centro la risoluzione dei problemi della gente, di farsi guidare dall’interesse generale. Chi ha smarrito la consapevolezza che fare l’interesse generale significa far male il proprio interesse non è degno di guidare il Paese, e, secondo me, non è nemmeno adeguato a guidare la propria parte politica!! È per questo motivo che io credo che L’ULTIMA CARTA da giocare sia quella di un’alleanza dei SINDACI, per salvare l’Italia dall’abisso morale ed economico in cui è precipitata, per rilanciare lo sviluppo, la cultura, la comunità nazionale. A ben vedere, i Sindaci sono gli unici rappresentanti istituzionali non coinvolti in questo generale sentimento di disprezzo che riguarda tutti gli altri rappresentanti politici. Bene, o meno bene, (grazie anche ad una buona legge elettorale) essi hanno rappresentato negli ultimi 20 anni l’unico vero baluardo democratico, hanno imparato – anche venendo da una parte politica – ad amministrare nell’interesse collettivo, conquistando così consensi sempre superiori a quelli dei partiti di provenienza; hanno saputo reggere alla crisi finanziaria dello Stato, che ha determinato vergognosi tagli agli enti locali, curando da sè le ferite, vicini alle proprie comunità, e spesso rappresentando l’unica voce ascoltata dalla gente. In un Paese che incontra nella sua storia anche la creazione dei COMUNI, i Sindaci italiani rappresentano una vera riserva per la democrazia del nostro Paese, un’autentica risorsa cui attingere in un momento così drammatico, una caratterizzazione direi “nazionale”, proprio perché autenticamente rappresentanti delle COMUNITÀ  LOCALI. Questa alleanza, al di là di ogni rappresentazione di parte, potrebbe di fatto essere l’unica in grado di “pensare”, programmare e articolare un programma di interesse nazionale, di interesse generale, per salvare il Paese, per assicurare un nuovo Rinascimento. Condizione essenziale è l’assoluta distanza da ogni parte partitica. Ma non contro i partiti. Ai partiti resterà un bel bagno nella Carta costituzionale, dove ritrovare le funzioni che il Costituente gli assegnava e che, ovviamente, sono state spudoratamente tradite. L’alleanza, la lista dei SINDACI, potrebbe nascere attraverso una consultazione programmatica che coinvolga tutte le municipalità italiane e attraverso primarie aperte cui partecipino tutti gli elettori. Sui punti da affrontare credo ci sia tempo per dettagli maggiori, tanti e tali sono i temi di urgenza, di emergenza, ma anche quelli strutturali che vanno affrontati. Ciò che è importante è la CREDIBILITÀ della proposta, la sua RIVOLUZIONARIETÀ ISTITUZIONALE E DEMOCRATICA, la forza dirompente sotto l’aspetto morale e politico, la concretezza e la creatività esplosiva che essa rappresenterebbe. Politici, si, ma a cui la gente da il “tu”.  Non l’antipolitica, ma il massimo della capacità di governo. Rappresentanti, si, ma di tutti, non di pochi. Capaci di unire e non di dividere. Con una grande missione:al primo posto il Paese, al primo posto il popolo. Ancora una volta l’Italia sarebbe la prima. Non come negli ultimi tempi, che è sempre in coda alla lista.

Giovanni Moscatiello