Dal “buonasera” alla croce di ferro: la comunicazione di Papa Francesco

Amedeo Tesauro

Da sempre il potere necessita di ostentazione, è una regola dell’estetica: un’importanza reale non può prescindere da una manifestazione esteriore concreta; così la reggia di Versailles a Parigi non è solo un capriccio di Luigi XIV, ma è la prova tangibile del valore della monarchia. Allo stesso modo è facile constatare come nella storia non siano caduti regimi e democrazie quando hanno operato male condannando il popolo a sorti nefaste, ma tali istituzioni sono crollate quando hanno mostrato debolezza. In ambito religioso la Chiesa, un potere spirituale che un tempo fu temporale, utilizza tutta una serie di codici e segni che oltre al valore liturgico posseggono un significato notevole sotto molteplici punti di vista. Jorge Mario Bergoglio, alias Papa Francesco, ha dimostrato un’immediata conoscenza della dimensione esteriore e propagandistica del ruolo a cui è stato chiamato, creando un feeling genuino che il suo predecessore Joseph Ratzinger non aveva avuto interesse a sviluppare. A cominciare dal saluto, un “buonasera” che quasi sapeva di comico per la formalità dell’occasione, fino ad arrivare al riferimento alla “fine del mondo”, proprio di una sorpresa che a suo tempo fu di Carol Wojtyla. Ponderata anche la scelta del nome, quel Francesco che non è il modello dell’ordine di provenienza (gesuiti) di Bergoglio, ma si presta ad essere modello di un pontificato che con intelligenza punta a dare una nuova immagine della Chiesa. Richiamare in causa il santo di Assisi significa indirizzare l’organizzazione verso i suoi scopi originari di evangelizzazione, tra le strade e non nelle biblioteche, ma possiede anche un valore sociale/estetico. In epoca di crisi mondiale e di condizioni non agevoli per la gente comune, il rifiuto di segni sfarzosi come la croce d’oro o il voler pagare personalmente l’albergo in cui il nuovo Papa alloggiava durante le votazioni, sta a tracciare una via di “umiltà” distante dall’austero e tradizionale comportamento del teologo Ratzinger. Del resto la polemica sul benessere ecclesiastico è sempre attuale, tanto più in tempi difficili, come le recenti controversie sull’IMU applicabile ai beni ecclesiastici ben testimoniano. Si può dire, ironicamente, che Papa Francesco è subito intervenuto con piccoli gesti lì dove da anni si chiede di intervenire ad un altro potere, quello politico. “Una Chiesa povera per i poveri” ha ribadito Francesco durante l’incontro coi giornalisti, uno slogan programmatico per intraprendere un percorso auspicato da molti; difatti i media individuavano tra i papabili l’americano O’Malley, descritto come uomo umile nei modi, un nome che non differentemente da Bergoglio avrebbe imposto una rottura col passato. Gesti simbolici e d’effetto, di umanità, in tale ottica di riavvicinamento alla gente perfino lo scivolone alla prima uscita pubblica (una quasi caduta che ha fatto il giro del mondo) funge a meraviglia. Naturalmente il valore storico di un Papa, per credenti e non, non può basarsi sull’aspetto esteriore ma su azioni concrete. La “cacciata” dalla Basilica di Santa Maria Maggiore del prelato Bernard Law, arcivescovo di Boston accusato di aver coperto i preti pedofili, è un segnale forte e percepito come necessario, un gesto che rivela la consapevolezza del nuovo pontefice delle debolezze e delle sfide prossime da affrontare, nell’intento di lanciare il nuovo corso di un’istituzione millenaria.