Salerno: al Teatro Ghirelli “Requie a l’anema soja”

C’è un bel pezzo di Eduardo nel cuore di Alfonso Santagata, che affronta con cautela coscienziosa e avventurosa digressione il patrimonio universale del grande artista napoletano. Dopo le fortunate e convincenti prove di Quali fantasmi e Le voci di dentro, l’attore e regista pugliese porta in scena Requie a l’anema soja, due atti unici di Eduardo De Fillippo (Il cilindro e I morti non fanno paura), programmati, al Teatro Antonio Ghirelli in via Lungoirno a Salerno, da giovedì 28 febbraio 2013 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 3 marzo). L’allestimento, presentato dalla Compagnia Teatrale Katzenmacher, si avvale dell’interpretazione, oltre allo stesso Santagata, di Antonio Alveario, Rossana Gay, Giovanna Giuliani, Johnny Lodi, Massimiliano Poli. Il mondo delle farse di Eduardo De Filippo non è mai banalmente una macchina per divertire, ma è sempre pervaso da realismo e da uno sguardo critico sulle superstizioni, sulle visioni e sui miraggi che sembrano nutrire una certa napoletanità. E come nel caso di I morti non fanno paura del 1920 e Il cilindro del 1965, riunite nel titolo Requie a l’anema soja, il tema della morte sembra essere strumento di rinforzo alle cose della vita e non di sottrazione, una sorta di annullamento dell’assoluto. Requie all’anema soja è un appuntamento con l’Eduardo che, sul decesso, ha scritto due farse esilaranti, contrassegnate da controsensi, sotterfugi e ingegnosità assortite, necessari alla sopravvivenza, umana e psicologica, dei protagonisti. Ne I morti non fanno paura, Enrico, un viaggiatore di commercio febbricitante e bisognoso d’immediato ricovero dopo un viaggio di lavoro a Milano, fa ritorno presso la camera in cui vive da affittuario. La stanza ha da poco smesso di ospitare la veglia per il padrone di casa, morto il giorno prima. Enrico non ce la fa proprio, ad andare a dormire. Il cilindro è il copricapo magico che di magico non ha nulla usato da Agostino per ideare piccoli espedienti insieme ad altri tre complici, al fine di raggranellare i soldi dovuti per l’affitto della casa in cui vivono. Tra i vari stratagemmi c’è anche quello del finto morto, Rodolfo, preceduto, però, dall’altrettanto finta prostituta, interpretata da Rita, moglie di Rodolfo. Ora, succede che ci cascano tutti tranne Don Attilio. L’ultimo non solo non ci casca, ma offre molti soldi per, come dire, rendere vera la finta professione di Rita. Sarà Agostino a ingegnarsi per riuscire ad avere i soldi senza sacrificare Rita. Ma occhio, perché il colpo di scena finale è in agguato. Si tratta, ancora una volta, del tentativo di Santagata di approssimarsi al “demone meridiano”, a quella emozionalità-istintualità propria del Mezzogiorno, ma da una nuova strada, una nuova prospettiva, tutta da indagare, a cui fornire altra linfa che può solo nascere del confronto con le sensibilità di oggi.