Le elezioni della svolta: speranze e nuove prospettive del presunto anno 0 della politica italiana

Amedeo Tesauro

Comunque vada, non sarà più la stessa cosa. Affermazione tanto banale quanto, almeno nel caso specifico, veritiera. Difatti le elezioni in corso segneranno uno spartiacque storico paragonabile a quanto avvenne a inizio anni ’90 con la crisi del sistema dei partiti e l’avvento di Silvio Berlusconi, eventi decisivi per il ventennio successivo. Se allora mutò il campo da gioco con l’ingresso di nuovi soggetti politici, oggi la storia si ripete con il prossimo arrivo in Parlamento di una rinnovata componente di centro e, soprattutto, dei grillini del Movimento 5 Stelle. Attenzione però, il subentrare di nuove sigle non significa automaticamente cambiamento, ma soltanto uno scenario differente dal quale potrà o meno derivare una svolta; si pensi alla fine della prima Repubblica e quante speranze accompagnarono le nuove organizzazioni giunte al potere, e si valuti poi la sostanziale continuità che queste ebbero con gli immediati predecessori (tale che la definizione di seconda Repubblica risulta per alcuni studiosi impropria). La tornata elettorale odierna vedrà la fine di un sistema, ma nelle intenzioni c’è in ballo di più, tra la gente l’impressione sincera è quella dell’occasione giusta per un reale cambiamento, l’anno 0 della politica italiana. Ma è davvero così? L’idea di cambiamento è un concetto potente, da sempre ogni partito cerca di farlo proprio e vendersi come la nuova onda destinata a spazzare via le vecchie strutture, e questa volta ad appropriarsene con convinzione è stato l’M5S che ha saputo intercettare, al di là delle considerazioni politiche, tante persone decise in principio a non impegnarsi e disertare le urne. La convinzione mostrata e le tante promesse faranno sì che proprio sui grillini la pressione sarà altissima, e a loro si chiederanno segnali forti per dimostrare di non essere l’ennesimo risultato del populismo ma una forza politica pregnante di idee come si va sostenendo nel movimento; il precedente storico è la Lega Nord, che sull’onestà condusse le sue battaglie e venti anni dopo va all’elezioni con l’esigenza di riformarsi dopo che uno scandalo ha travolto proprio quell’onestà tanto ostentata. Negli elettori del PD il concetto di cambiamento più che essere punto programmatico è speranza, quella di trovare finalmente un centro-sinistra maturo a guidare il paese, ma i fraintendimenti sono all’ordine del giorno in un partito che deve fare i conti con le divergenze tra la propria componente di sinistra vicina all’alleato Vendola, e quella che guarda con interesse misto a timore (i sondaggi non sono incoraggianti per eventuali alleanze) al centro montiano. L’elettorato PDL certamente si mostra meno innovatore, reazionario nella pretesa di ritornare a un benessere illusorio che in realtà è ricerca di una condizione “altra” alle politiche della sinistra che ancor troppo è vista come legata al vecchio PCI. A tal proposito, questa elezione già ora ci dice di una notevole differenza di pensiero tra i nuovi aventi diritto al voto e i vecchi. Dati alla mano sarà la prima volta che una generazione interamente cresciuta dopo il crollo del muro di Berlino andrà al voto in un’elezione nazionale, i primi nati in un contesto che non vedeva più le propagande DC/PCI e la grande divisione del paese tra comunisti e non. Sebbene poi nell’epopea berlusconiana il tema sia ritornato con forza, gli antichi schemi mentali valgono per i vecchi elettori figli di un contesto diverso, i nuovi mostrano una mentalità meno spaccata e maggiormente propensa a valutazioni concrete scevre da vincoli ideologici. Forti di tali convinzioni, più fatti e meno propaganda d’annata, voteranno le generazioni del futuro. Che effettivamente o meno ci sia il cambiamento non possiamo dirlo, ma le basi per un approccio diverso all’impegno politico ci sono tutte.