Carolina come Amanda vittima del cyberbullismo

Maddalena Robustelli    
E’ di pochi giorni fa la morte di una quattordicenne, suicidatasi a Novara gettandosi dal balcone della sua abitazione. Carolina Picchio, a parere degli amici,  non era difatti riuscita a superare l’impasse di un grave stato di prostrazione conseguente ad una serie di commenti a lei sfavorevoli pubblicati sui social network ed aventi ad oggetto la sua persona. Eppure è stata descritta come una ragazza solare dalla sua insegnante di psicologia, alla quale la ragazza “non aveva mai parlato di situazioni difficili”. Gli inquirenti stanno indagando sulla vicenda e al proposito sono al loro vaglio tutta una serie di biglietti ritrovati nell’abitazione di Carolina. Indubbiamente allo stato attuale è difficile dimostrare quanto abbia influito il dileggio on line sull’equilibrio di un adolescente per sé stesso fragile, perchè in via di evoluzione verso un percorso di vita che da bambino indifeso e passivo lo farà divenire un adulto consapevole e capace di superarne le difficoltà. Di certo il cyberbullismo, ossia l’utilizzo di internet, dei telefoni o di altri tipi di tecnologia per maltrattare e molestare ripetutamente i propri coetanei, è un fenomeno che sempre più sta dilagando anche tra i ragazzi italiani. Immediatamente dopo la morte di Amanda Todd, una giovane canadese suicidatasi lo scorso mese di ottobre a causa delle continue violenze psicologiche causate dagli attacchi nei suoi riguardi perpetrati sui social network, ho tenuto con il Comitato Se non ora quando-Vallo di Diano una conferenza presso un istituto d’istruzione superiore del comprensorio. L’argomento trattato era il sexting (lett. postare di sesso), un tipologia comportamentale che sta prendendo piede tra i nostri adolescenti e che consiste nello scambio in Rete di immagini a sfondo sessuale. Nostro intento era quello di spiegare agli studenti le conseguenze personali, sociali e legali a cui sarebbero andati incontro a causa di suddetto comportamento che, secondo un recente studio di Save the children, è considerato dal 22% degli ragazzi italiani comune tra i loro coetanei. Abbiamo constatato l’interesse della giovane platea e del suo corpo insegnante, anche se per ragioni logistiche legate ai limiti temporali dell’iniziativa  non abbiamo avuto modo di aprire un dibattito sull’argomento. Ci interessava, difatti, comprendere le loro opinioni al riguardo, ben consapevoli però che ci saremmo trovate di fronte ad un muro di gomma tipico di chi cerca di permeare la loro malcelata ritrosia e a volte palese reticenza a parlare del fenomeno in questione. Eppure sappiamo che li riguarda tant’è che in un precedente confronto presso un’altra scuola superiore del Vallo di Diano ci era pervenuto in forma anonima il seguente post: “è capitato che una ragazza è stata protagonista di un video nel quale si spogliava, video che un suo coetaneo farà vedere a tutti i suoi amici”.Sicuramente, quando i genitori o più in generale gli adulti provano ad instaurare con i propri figli e no una discussione franca e leale sull’argomento, gli adolescenti si chiudono a riccio. Ciò induce a ritenere che sia più che necessaria una specifica interlocuzione al proposito, che parta dalla famiglia e gradualmente si arricchisca di contributi specifici. E’ dell’altro giorno la richiesta che il Garante della Privacy, A. Soro, ha indirizzato al Ministro dell’Istruzione, F. Profumo, affinchè “il tema della riservatezza e della dignità delle persone nel mondo on line venga assunto da tutta la scuola come momento imprescindibile di formazione dei nostri giovani”. Certo, è dolente constatare che ci si muova sempre a tragedie già avvenute, ma forse proprio sull’onda emotiva di quel che è avvenuto a Carolina, come ad Amanda, occorre che si inizi almeno ad approntare i necessari percorsi di coscienza sul fenomeno del cyberbullismo, onde predisporre i conseguenti rimedi a favore degli adolescenti che si trovino ad esserne vittima o, meglio ancora, a prevenirne le manifestazioni. Non possiamo più limitarci, come adulti consapevoli della pericolosità del fatto in sé, a stare ala finestra perché indubbiamente sarà difficile che i ragazzi si rivolgano spontaneamente a noi. “Quello che può fare ogni genitore è parlare costantemente con il figlio, raccontare queste storie e, più che pontificare, chiedere cosa il suo ragazzo pensi del fenomeno” sostiene  B. Collevecchio, un approccio iniziale che necessariamente dovrà essere approfondito nelle opportune sedi, tra cui anche la scuola. Ad imbattersi in tre commenti, pubblicati da altrettanti amici di Carolina Picchio sui social network, si può leggere: “si è suicidata per colpa di chi la sfotteva”; “l’avete fatta cadere, lei ha mollato con i vostri insulti”; “la pagherete, l’avete uccisa con le vostre parole”. In un biglietto ritrovato a casa dai carabinieri la vittima di questa vicenda ha scritto: “scusate se non sono forte, mi dispiace”, quasi una confessione d’impotenza di fronte ad un nemico più grande di lei, il cyberbullismo. Aiutiamo i nostri ragazzi a difendersi da questo mostro che, secondo una statistica attuale, è responsabile del 17% dei suicidi perpetrati dagli adolescenti, mettendo in campo un confronto autentico e capace di aiutarli a costruire se stessi in piena coscienza e consapevolezza.