Da Fiorello a Monti: la realtà in 140 caratteri

Amedeo Tesauro

Non il contenuto, ma il mezzo. Quando l’ormai ex premier Mario Monti ha iniziato a dialogare pubblicamente su Twitter, prima ancora che nella sostanza la notizia andava rintracciata nella forma della comunicazione. Dialogo pubblico attraverso i cinguettii del popolare social network, forse troppo sfacciato nella tendenza a ingraziarsi il popolo del web con tanto di faccine e un “Woo” di sorpresa stile teenager, magari poco partecipativo perché alla fine i giornalisti sono comparsi anche lì, ma un esperimento interessante da sottolineare. Nelle stesse ore Silvio Berlusconi, uno che sul successo della comunicazione ha costruito la propria avventura politica, andava alla TV del Corriere a esporsi alle domande inviate in un’operazione che necessariamente appariva vecchia a confronto. Vecchia perché Twitter sa di fresco, fa tendenza, lo usano le celebrità, da quelle hollywoodiane alle nostrane (Fiorello è stato iniziatore con un seguitissimo account),  ma soprattutto ha nel suo limite di 140 caratteri una caratteristica unica che lo ha visto definire come “l’SMS di internet”: veloce, incisivo, concreto. Certo, ha dell’ironico che Monti abbia scelto il popolare social network per rispondere ai numerosi interrogativi attorno al suo futuro, ironico perché a fronte di tante domande si è chiuso necessariamente in quel limite di segni generando risposte serrate e essenziali, ma la riflessione è più ampia. Se Facebook costituisce il nocciolo duro di una realtà virtuale in cui siamo ciò che il nostro profilo rivela, Twitter per le sue particolari dinamiche rappresenta invece uno strumento meno formale incentrato sullo scambio di opinioni in un flusso incontrollato ma di sicuro effetto. Messaggi brevi, centrare il punto, dire quello che bisogna dire, non utilizzare parole superflue, negli obblighi twitteriani si nasconde un nuovo linguaggio di portata potenzialmente fortissima, al pari delle abbreviazioni da cellulare che hanno modificato col tempo il dialogare comune evolvendo, o deturpando a seconda di come la si pensa, la lingua. Pochi giorni fa, l’ultimo dell’anno, cadeva il trentaduesimo anniversario dalla scomparsa di Herbert Marshall McLuhan, guru della comunicazione a metà tra geniali intuizioni e provocazioni tra lo strambo e il profetico; l’autore del “villaggio globale”, espressione da lui ideata tre decenni prima che Internet nascesse. Sosteneva inoltre che la potenza dei media non è nel messaggio che inviano, ma nelle loro caratteristiche, che sta a significare che il potere della TV non è nel trasmettere un reality o un documentario, ma nel suo essere mezzo di comunicazione capace di irradiare contemporaneamente in milioni di case immagini provenienti perfino dall’altra parte del mondo. Naturalmente ciò non lascia indifferenti le persone, ogni tecnologia induce delle modifiche comportamentali e percettive: chi nasce oggi si sorprenderà di vedere un film in cui i ragazzi passano ore al telefono e non in chat, semplicemente perché tale abitudine non esiste più. Twitter allo stesso modo induce delle modifiche al modo di relazionarsi, realizza il dibattito e la connessione di opinioni rapidamente e su scala globale, delineando una dimensione in cui la potenza espressiva e dei contenuti si riduce alla capacità di esprimerli in 140 caratteri. Pochissimi dicono alcuni, altri vanno oltre e ipotizzano una società pronta a eliminare il pensiero complesso in favore delle frecciate istantanee e succinte. Uno scenario apocalittico, ma perfettamente in linea con un mondo che si muove al doppio della velocità e dove far arrivare il concetto conta più del concetto stesso. Non il contenuto, ma il mezzo.