La vittoria europea di Obama

Amedeo Tesauro

Quando alle due di notte ora italiana sono arrivate le prime proiezioni dei più attesi “swing states”, ovvero gli stati dalla preferenza incerta, la corsa alla Casa Bianca ha svoltato lievemente ma in modo definitivo verso una riconferma di Barack Obama. Dall’Ohio e dalla Florida arrivavano notizie favorevoli per il presidente uscente, e già un quarto d’ora prima aveva fatto ben sperare il sostanziale pareggio nella Virginia dove Romney necessitava di trionfare per ambire alla vittoria finale. Malgrado un trend favorevole ai repubblicani, in grado di mettere in discussione un’elezione che a inizio anno veniva vista come formalità per il presidente, non c’è stata la valanga di voti attesa dai supporters di Romney, il presidente ha tenuto duro e si è guadagnato  “four more years”, altri quattro anni in cui operare senza l’incubo della riconferma. La turbolenta notte connotata dal susseguirsi di exit pools e proiezioni ha trovato l’ampia copertura dei mass media di tutto il globo, pronti a analizzare e ricapitolare quanto arrivava dall’America, cercando di illustrare a pieno la natura differente della democrazia indiretta made in U.S.A, tra grandi elettori e numeri per singole contee. Certo non sorprende l’interesse massiccio riservato alle presidenziali statunitensi, ancor meno qui nell’Italia da sempre legata a filo diretto al destino a stelle e strisce, la stessa Italia dove quattro anni fa tutte le formazioni politiche furono pronte a attribuirsi questa o quella virtù sfoggiata dal neo-eletto Barack cercando di carpire il segreto di una comunicazione vincente. Si potrebbe azzardare l’esistenza di un legame particolare tra noi italiani e Obama, magari legato al fascino della sua figura e alla sua storia di uomo nuovo poi schiantatosi contro la crisi globale, ma ipotesi a parte c’è del concreto per credere che dalla sua riconferma possano beneficiarne l’Italia e Europa tutta. Meno di una settimana fa il rivale Romney aveva visto nel futuro degli Stati Uniti, in caso di rielezione del presidente uscente,  la via che conduce all’Europa, con menzione a Italia e Spagna, un messaggio chiaro: votare democratico e finire come il Vecchio Continente, lo stesso da cui Mitt Romney ha fermamente voluto prendere le distanze. Questione di politica estera dunque, e in materia è evidente come l’attuale inquilino della Casa Bianca lasci aperto un maggior dialogo per una risoluzione comune della catastrofe economica, nonché garantisca “continuità nella gestione della crisi” come evidenziato dal Ministro degli esteri Terzi. Barack Obama è visto unanimemente come fattore limitante all’austerità di Angela Merkel, un eventuale freno a provvedimenti eccessivamente drastici, un partner consapevole dei nuovi processi economici che muovono il potere verso Oriente in direzione cinese; l’alternativa Romney prevedeva una ricetta mirata a restaurare l’autonomia statunitense, il vecchio quadro isolazionista che considera l’UE come inefficiente amalgama di stati, ma anche la visione egocentrica di un mondo dove gli U.S.A. sono ancora la nazione in grado di guardare tutti dall’alto in basso. Di fronte alle differenze programmatiche dei due sfidanti alla presidenza c’è da comprendere la soddisfazione tutta europea per una riconferma di Obama, e seppur nulla può dirsi certo vale la pena credere che gli esiti di queste elezioni facciano gioco anche da questa sponda dell’Atlantico.