Pietà per questa terra morente: disperato appello del filosofo-sociologo Edgar Morin

Giuseppe Lembo

Il pensatore francese Edgar Morin, allarmato per quello che potrà succedere alla Terra ed a chi la abita, alla veneranda età dei suoi 91 anni, forte dei suoi saperi filosofici e sociologici, con preoccupazione guarda al futuro del mondo. Invoca pietà per la Terra ormai morente; grave è il rischio ambientale, ma ancora più grave è la deriva in atto delle ideologie. Nonostante i mali della Terra e dell’uomo che la abita Edgar Morin si dice disperatamente ottimista e nonostante tutto, invita l’umanità all’ottimismo. Per cercare le soluzioni necessarie ad evitare il disastro senza appello, Morin invoca un’economia umana, la sola possibile strada anche se tutta in salita da percorrere, che può dare una mano alla disperata salvezza della Terra morente. Purtroppo non vede nel mondo di oggi quella luce umana necessaria per allontanare le tenebre. In una recente intervista nella sua casa a Parigi dove vive, Morin disperatamente leva alto il suo grido di dolore. La corsa verso l’abisso è precipitosamente accelerata; nonostante questo, c’è tanta indifferenza umana; purtroppo, si grida nel deserto. Nessuno di buona volontà sa e/o vuole ascoltare.  In giro c’è tanta indifferenza umana anche di fronte a problemi di una gravità estrema per il futuro dell’uomo e della Terra. Mette ed a ragione il dito sulla piaga dei mali di questo nostro tempo che affliggono sempre più la Terra e l’uomo. Sono mali che trovano la loro ragione d’essere prima di tutto nell’insipienza della politica che rincorre un modello di crescita assolutamente negativo ed impossibile da trasformare in azioni di sviluppo umano, sociale ed economico. Non è, purtroppo, questa la strada giusta da seguire per cambiare e trasformare il comportamento umano necessario per evitare la catastrofe e salvare la Terra che sta ormai morendo. Recente di Morin è la pubblicazione di un suo manifesto al mondo intitolato “Il cammino della speranza”; porta oltre alla sua firma, anche quella di Stephan Hessel, l’ideologo degli indignati, un movimento di giovani spagnoli, m anche di americani e del mondo arabo, stanchi di subire in silenzio le violenze di un mondo adulto poco disponibile al dialogo e per niente intenzionato a concedere quella libertà e quella dignità umana così come nelle legittime aspirazioni degli uomini e soprattutto dei giovani che vogliono credere in un mondo nuovo, con un altro tipo di vita e di società; un mondo più giusto, più fraterno, più umano, più solidale e più attento e disponibile all’insieme sociale. Sono le attese che ciclicamente tornano ad animare le diverse società della Terra; sono le attese che dal 1968 infiammarono il maggio francese; sono anche le attese di oggi ed appartengono alle più profonde e fondamentali aspirazioni dell’umanità.  E così, sempre più spesso la tanto attesa evoluzione dell’uomo e delle cose che gli appartengono, si trasforma in una vera e propria regressione umana, sociale e non ultima anche politica. Tutto questo succede perché manca la concreta attuazione  di quello che si vorrebbe cambiare. È successo in Egitto; è successo in Tunisia dove a beneficiarne è stato un partito religioso retrogrado. In altri contesti come la Spagna, gli Stati Uniti e la Francia il già grave peso della crisi economica altro non ha prodotto che un ulteriore ed insopportabile aggravamento; tanto, perché non si è saputo trovare la via giusta per il cambiamento; tanto, perché alla base non c’era un vero e possibile progetto di un concreto cambiamento. In un suo precedente colloquio/confessione Morin ci dice e dice al mondo le sue inconfutabili verità; prima di tutto, con forza si scaglia contro la crescita economica che toglie ai poveri per dare sempre più ai soli pochi ricchi.   La crescita che ha per obiettivo l’economia umana è la sola che potrà salvare il mondo; per questo tipo di crescita occorre ridurre lo spreco; occorre il rispetto della Terra e delle sue risorse; occorre fermare le violenze dell’uomo che producono, in scenari antropicamente sofferenti, crescenti condizioni di distruzione e di morte. Occorre umanizzare il mondo e dare alle città una dimensione antropicamente possibile, rompendo un sistema ormai insostenibile, perché disumano e per tanti, un vero e proprio inferno sulla Terra.  Come fare per cambiare? Morin vede la via del cambiamento possibile, rinnovando la politica e chi la rappresenta; chiusa com’è in se stessa è una casta di soli privilegiati, assolutamente indifferente a chi soffre. La politica del mondo in questo inizio del Terzo Millennio, soprattutto, nel mondo del benessere, è ovunque un mondo a sé; un mondo chiuso, assolutamente avulso dalla realtà. Morin indignato, con grande forza umana di saggio disperato, rivolto al mondo, grida il suo “basta”; tanto lo fa, con voce sofferta e disperata per le sempre più gravi condizioni in cui si trova a vivere l’uomo tradito soprattutto da una classe politica sempre più incapace di proporsi come riferimento umano positivo, per evitare di cancellare, come ultima spiaggia, anche la speranza che non deve assolutamente morire.