L’ Uva

Giovanna Bergamasco

A settembre, stagione tra le più amate dell’anno, torna il piacere  di gustare l’uva con i suoi grappoli pieni di luce e colore che richiamano lo scintillio del sole e l’amore antico per la terra. Ogni grappolo è composto da un graspo (o “raspo” che è la sua asse centrale)  e da numerosi acini di piccola taglia e di colore chiaro (verde-giallastro, giallo, giallo dorato) nel caso dell’uva bianca; o di colore scuro (rosa, viola o violetto bluastro) nel caso dell’uva nera. L’uva fu introdotta in Francia  dai fenici nel 600 a. C. mentre i romani la diffusero in Germania nel secondo secolo dopo Cristo. Le due specie di vite più importanti per la produzione di uva sono: la Vitis vinifera, originaria dell’Europa e dell’Asia occidentale dalla quale derivano tutti i vitigni destinati alla produzione di uva da vino e da tavola; e la Vitis Labrusca originaria dell’America del nord, destinata limitatamente alla produzione di uva da tavola. La vitis Labrusca, la cui denominazione deriva dal latino adoperato per indicare una vite selvatica, riconduce anche al nome del “lambrusco” famoso vino emiliano. L’Italia è il primo produttore al mondo di uva da tavola con le regioni Puglia (65%) e Sicilia (25%).  Ed ecco alcune delle varietà più diffuse: Alfonso Lavallèe, Cardinal (ottenuta nel 1939 a Fresno, in California, è una delle migliori varietà di uva precoce con grappoli grandi e colore rosso violaceo), Italia (prodotta da un incrocio di uve Bicane e Moscato d’Amburgo: una delle più apprezzate, con grappoli grandi e consistenti di colore giallo dorato e con un delicato sapore di moscato) e Regina (una delle più antiche, di provenienza probabilmente siriana, introdotta in Italia dagli antichi romani). L’uva viene coltivata dappertutto sulla terra e perciò ricercatori provenienti da diversi paesi sono stati particolarmente interessati alla sua composizione poiché il seme e la buccia contengono la più ricca concentrazione di antiossidanti come il resveratrolo e la melatonina. Infatti, nella medicina tradizionale asiatica, si utilizza la pianta Polygonum cuspidatum, particolarmente ricca di resveratrolo per curare i disturbi al cuore e al fegato. Inoltre il resveratrolo ha proprietà antivirali grazie al contenuto di acido tannico e di fenolo ed è in grado di contrastare il virus dell’herpes simplex con applicazioni di succo d’ uva o di mosto sulle labbra affette da herpes, in modo da accelerarne la guarigione. Ma è anche necessario ricordare che l’uva deve essere consumata con moderazione in caso di diabete e obesità. Come sostanza antinvecchiamento il resveratrolo è considerato un antiossidante ed è attivo contro alcuni radicali liberi e perciò l’uva è usata per la cura della bellezza giacchè è giudicata disintossicante e ringiovanente. Ed inoltre, gli acini ridotti in puré e applicati sulla pelle di viso e collo, hanno un’azione astringente e rivitalizzante. Con il termine ampeloterapia  (dal greco ámpelos, vite), si pratica appunto la cura dell’uva che consiste nel consumare uva delle varietà da vino e ben matura, come unico alimento giornaliero. Per ottenere però i migliori risultati, bisognerebbe recarsi nei luoghi di raccolta dell’ uva e utilizzarla senza le manipolazioni cui viene sottoposta prima di essere posta in commercio. Ma l’uva viene utilizzata soprattutto per la produzione del vino e diversi ritrovamenti archeologici dimostrano che la Vitis vinifera cresceva spontanea già al tempo del neolitico. Le più antiche tracce della sua coltivazione sono state rinvenute sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale e gli specialisti affermano che il vino è stato prodotto per la prima volta, forse casualmente, tra 9 e 10.000 anni fa nella zona del Caucaso. Sembra infatti che il primo vino sia stato ricavato appunto per caso (come è avvenuto con il pane lievitato) dalla fermentazione accidentale di uva dimenticata in un recipiente. È comunque accertato che la produzione su larga scala di vino è iniziata poco dopo il 3000 a.C., quindi circa 5000 anni fa. I primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C. ma è solo con la civiltà egizia che si ha lo sviluppo delle aree coltivate e di conseguenza la produzione del vino. L’uva è nominata spesso nella bibbia, dove i vigneti avevano la qualità di far parlare di sé grazie ad un frutto amico di tutti e fu proprio Noè che, dopo avere intrapreso sui flutti del diluvio un viaggio fino al monte Ararat, in Armenia, vi si stabilì e da buon coltivatore piantò la vite di cui aveva portato con sé le radici. Una volta terminato il diluvio sicuramente Noè salutò con gioia il ritorno del sole dopo le lunghe giornate di pioggia perché la vite è figlia del sole che è assolutamente indispensabile alla fioritura della pianta e alla maturazione del frutto. La Bibbia (nella Genesi 9,20-27) riferisce dunque che Noè, appena sceso dall’arca, piantò una vigna e a lui si deve oltre alla prima”sbronza” della storia anche la dimostrazione del fatto che le tecniche enologiche erano conosciute già in un’epoca assai remota. Gli Egiziani furono però i maestri e i depositari di tali metodologie come testimoniano numerosi geroglifici che riportano registrazioni accurate di tutte le fasi del processo produttivo, dal lavoro in vigna alla conservazione. Nondimeno è certo che ogni popolazione possiede una sua storia del vino, anche se probabilmente le origini vanno ricercate in oriente, culla della civiltà. Sembra addirittura che la vitis vinifera, a cui appartengono quasi tutte le moderne varietà d’uva, risalga cronologicamente ai tempi preistorici, come già accennato, ma fu solo attraverso i Fenici e i Greci che il vino ebbe poi modo di diffondersi in Europa. I poemi omerici testimoniano ampiamente la presenza e l’importanza della bevanda così come del rito della vendernmia, in un clima bacchico e  sfolgorante di luce associato alla pigiatura dell’uva. A tal proposito si ricordano appunto  le feste dei Baccanali (in onore di Bacco antica divinità italica) durante le quali i partecipanti si abbandonavano ad un’allegria assai libera, scomposta e licenziosa, ad imitazione delle feste dionisiache che la Grecia celebrava in onore di Dioniso, il dio del vino, dell’ebbrezza e del delirio mistico, dell’irrazionale oltre che dei gesti sanguinari e della violenza. Ma il vino è anche simbolo di buon augurio e amicizia tra i popoli. Soprattutto di amore. Quell’amore che Gesù nell’ultima cena volle manifestare per sempre all’umanità intera quando versò il vino in una coppa che fece poi circolare tra gli apostoli perché ne bevessero a turno, come offerta preziosa del proprio sangue per la salvezza eterna. Per cui il vino, anello di congiunzione tra il profano e il sacro, ponte tra l’umano e il divino, racchiude in sé tutta l’ambiguità del sacrificio proibito e cruento ma, allo stesso tempo,  necessario e salvifico.