Genitori-figli: amici per la pelle?

di Rita Occidente Lupo

Ancora funzionano gli sculaccioni ed i rimproveri? Una scuola di pensiero, piuttosto avanguardista, sostiene che ormai tramontata tale epoca, ricorrente a metodi rigidi per dettare codici comportamentali ed insegnare buone maniere ai propri pargoli. Un’altra fetta consistente tradizionalista, conviene che invece i metodi repressivi, quando non servono  leziose parole persuasive, funzionino a dovere. E se il telefono azzurro quasi  pallido ricordo, in contesti emancipati e progressisti, in alcune realtà ancora il ruolo genitoriale protagonista nel non usare carote, ma randelli se il caso, per dettar legge. La pedagogia ha nel corso del tempo evidenziato come l’apporto educativo dei genitori e delle figure di riferimento parentali costituisca l’Abc su cui si sviluppi la personalità del fanciullo in modo armonico, quando le coordinate  imperniate sull’univocità del metodo e non sul conflitto competitivo. Oggi, la realtà attuale, mostra canovacci di vita diversi dai tempi biblici: da quando addirittura il pronome personale adottato dai figli, per rapportarsi ai genitori, voi, eludendo ogni equivoca confidenzialità. Nella nostra cultura, almeno quella italiana, pare proprio che abbia preso possesso il rapporto amicale tra genitori e figli, a volte quasi di complicità, al punto da far scivolare poi quell’autorevolezza, che in ogni caso deve rimandare il piglio della direttiva educativa.