Wall Street s’ inchina alla Apple, la società dal più alto valore di sempre

Amedeo Tesauro

Quando lo scorso ottobre Steve Jobs morì nella sua casa in California, la commozione fu tanta. Dietro l’uomo dei prodigi Apple si nascondeva una storia incredibile come lo sono tutte le storie dei grandi, rocambolesca a tratti, vincente, così affascinante da diventare nel prossimo futuro un blockbuster a opera della Sony Pictures. Ciò che Jobs non ha potuto vedere però è stato lo storico risultato ieri raggiunto dalla sua compagnia: la Apple è la società col massimo capitale di sempre con  623,1 miliardi di dollari. Un risultato strabiliante che segna il sorpasso del precedente record di 619, 8 miliardi registrato nel 1999 da un’altra azienda operante nel settore, la Microsoft di Bill Gates, all’apice della “bolla internet” di fine secolo. Ideologicamente, già ideologia, per molti è una vittoria: il Think Different di Jobs vince contro il suo rivale, uno dei colossi più conosciuti al mondo, un nome e un marchio centrali nella storia del capitalismo americano. Del resto da quando esistono le multinazionali esistono i boicottaggi spontanei destinati a porsi contro di esse e i fans pronti a sostenerle, ma qui non parliamo di persone che effettivamente ne capiscono, di chi l’informatica la mastica per bene ed è in grado di disquisire con raziocinio sui meriti e i non meriti dei rivali storici, molto più semplicemente parliamo di ampie masse contagiate dall’Apple (i)mania che negli ultimi anni ha scalzato dalla preferenze qualsiasi altro prodotto senza simbolo della mela: oramai i lettori mp3 vengono definiti superficialmente iPod per indicare lo standard di riferimento, l’iPhone è l’iPhone è c’è poco da discuterne, e il risultato a Wall Street è in parte opera della quinta incarnazione prossimamente in uscita…e poi Steve Jobs, il valore aggiunto, coi suoi look informali e l’attitudine indipendente, celebrato come il Leonardo Da Vinci di quest’epoca e idolatrato per la sua storia di “self made man” arrivato a fondare una compagnia miliardaria senza aver nemmeno conseguito una laurea. Jobs e non Zuckerberg e il suo Facebook su cui si annidano gli inquietanti scenari di montagne di dati personali raccolti nei server, nonché le diatriba sulla paternità dell’idea che getta una cattiva luce sull’enfant prodige. Poco importa poi se anche la Apple è una multinazionale, stime della borsa alla mano l’azienda  la più valevole di sempre, alle grandi masse arriva l’idea dell’approccio giovane, innovativo, di chi sta un passo avanti e detta legge, apparendo di pasta differente rispetto agli altri. Come Obama in politica, il nuovo che avanza, e poco importa anche lì che le campagne presidenziali per quanto innovative necessitino di fondi e chi più ne ha più si avvantaggia in maniera tutt’altro che equa, il saper vendere un’immagine di sé progressista e al passo coi tempi vince sul rigore e la pretesa di formalità. La vittoria a Wall Street è ben più di un successo economico, oltre la definitiva presa di coscienza della supremazia raggiunta dal colosso di Cupertino, è l’ascesa di una filosofia alla base alimentata sapientemente dagli slogan e dal marketing prostratosi al dio progresso.