Eboli: arrosti domiciliari, a scuola (non solo) di cucina

Dallo scorso mese di luglio i detenuti della Casa di Reclusione – Istituto a Custodia Attenuata per il Trattamento delle Tossicodipendenze di Eboli sono impegnati nel progetto “CHEF”, corso di alta cucina gratuitamente offerto dal giornalista ed esperto di marketing culturale Umberto Flauto. Obiettivo del progetto, che si incentra sulla scoperta o, meglio, la riscoperta di alcune ricette dell’ ‘800 locali e non è, in primis la formazione di alcuni detenuti  che potranno spendere all’esterno lo  specifico titolo acquisito a fine corso. Lo stesso si prefigge, tuttavia, con una finalità parallela e non secondaria, uno scopo più complesso ed articolato: stimolare la  fantasia e la creatività  che confluiranno in un progetto editoriale di  “quasi ricette”, fatto di arte, costume, cultura. Fare cultura in carcere non è impresa da poco, però è così che si passa dall’ intrattenimento al trattamento, è attraverso una cultura che rende liberi mentalmente che cominciano a sciogliersi i primi legacci che tengono avvinta, in primis, la mente. Ciò avviene, avviene quando all’interno di un’istituzione si sanno individuare e mettere a frutto le risorse migliori, le intelligenze più vivaci, si sanno, in definitiva, valorizzare le risorse istituzionali e non. Deve avvenire, soprattutto quando, di fronte ad una congiuntura negativa come quella che stiamo vivendo, alle maggiori ristrettezze economiche devono corrispondere maggiori  “aperture” grazie alle quali, seppure nel più assoluto rispetto dell’invalicabile limite sancito dalla norma, si riesce a dare attuazione e, dunque, significato al principio sancito nell’articolo 27 della Costituzione. Può avvenire, quando, ai vertici delle istituzioni ci sono persone che tenacemente e professionalmente riescono a fare tutto questo.  Il nuovo progetto si pone, dunque,  un obiettivo molto alto. Tutti i sensi sono coinvolti, si può parlare di culinaria con grande raffinatezza e cultura. Il cibo entra dagli occhi evocando antiche e meno antiche opere d’arte, dalle allegorie dell’ Arcimboldo, alle nature morte del Caravaggio, del Ceruti fino al moderno Matisse e al contemporaneo Picasso. Così l’olfatto entra in gioco sul   fronte delle spezie, “droghe benigne”  da dosare ed usare sapientemente per esaltare armonicamente i  sapori dei cibi preparati. Descrivere, commentare un piatto o un sapore dopo averlo preparato, toccato con forza o con delicatezza a seconda che si tratti di grossi pezzi di carne o di lievi fiori di zucca, coinvolge l’udito e il tatto. Il cibo è tutto questo e non solo questo. E’ arte di preparare, di allestire, di combinare armonicamente sapori e colori, è accoglienza. Ed il progetto non tralascia quest’ultimo importantissimo aspetto. L’agape,  il legame che si  attua nel riunirsi in una comunità umana unita da principi e da valori scoperti e riscoperti anche grazie al cibo che diventa, quindi, pretesto per un’operazione di recupero del sé e, soprattutto, del sé attraverso gli altri, gli stessi che dall’esterno in modo del tutto volontario e gratuito mettono a disposizione il loro tempo e la loro professionalità per i detenuti dell’ICATT, che in tal senso possono ancora una volta grazie all’instancabile attivismo ed all’enorme capacità di fare rete con il territorio del direttore, Dr.ssa Rita Romano, contare sulle risorse inaspettate di quell’esterno più sensibile alle loro problematiche, “capitalizzando” e mettendo positivamente a frutto il tempo della detenzione che per questo non è più inutilmente perso. Ma il progetto non finisce qui. I detenuti dovranno e sapranno mettersi in gioco sottoponendosi al giudizio impietoso espresso non solo sul loro modo di cucinare, ma anche sull’accoglienza, sui modi di presentare le cose oppure sul rispetto dei piccoli particolari che costituiscono i requisiti minimi per un invito, del Dott. Flauto che impietoso Minosse li giudicherà, nell’ambito della rubrica da lui condotta, dalle colonne di una famosa rivista del settore. Un percorso tra il serio, l’ironico, il Don Chisciotte delle tradizioni culinarie:  un gioco? Una innocente e solo metaforica evasione? O forse solo la gioia di ritrovare il troppo a lungo dimenticato gusto della vita.