Il matrimonio di Federico: racconto breve

 Angelo Cennamo

Alle quattro di pomeriggio, e con 35 gradi all’ombra, arrivammo a via Cilea, sotto casa di Federico. Le lamiere dell’Alfa Romeo di Colajanni erano diventate roventi come quelle di una padella, e i sedili in pelle una vera tortura per i nostri corpi già martoriati dagli abiti della cerimonia. Colajanni indossava un fresco lana, blu scuro, su una camicia rigorosamente bianca. La cravatta a pois era in tinta con l’enorme pochette che gli usciva dal taschino, e ai piedi calzava i soliti mocassini neri. All’ultimo momento l’avvocato dovette rinunciare al panama, perchè in un gesto di stizza lo aveva lanciato fuori dal finestrino, dopo essersi accorto di aver sbagliato strada. Giulia, liberatasi della “divisa di ordinanza” ( scarpette da tennis, jeans a zampa di elefante e maglietta stropicciata) aveva recuperato l’eleganza dei primi tempi. Per la serata aveva scelto un tubino rosso scuro con una stola color panna. In macchina aveva tolto i sandali. Cercava disperatamente di refrigerarsi con un ventaglio di seta che si era premurata di mettere nella borsetta prima di scendere. Non appena parcheggiammo, Colajanni mi indicò una cabina telefonica. – Eccola là – disse – La vedete? E’ da quella cabina che Federico ci annuncia i suoi disastri – Giulia scoppiò a ridere “ Quali disastri, pà? – chiese – I peggiori – rispose l’avvocato, accendendosi la sigaretta, mentre con l’altra mano si passava il fazzoletto sulla fronte. – Poverino, non lo hai mai sopportato : ma cosa ti ha fatto di male? – Giulia non riusciva a comprendere l’idiosincrasia che suo padre aveva sviluppato per il nostro Fed. Era convinta che la sua fosse pura antipatia e che l’attività di studio non c’entrasse nulla con le liti continue. – Vedi, Giulia – disse l’avvocato – Federico per me è una persona di famiglia; l’ho accolto nello studio come un figlio, dico bene Eduà? Ma, se devo dirla tutta, la sua ostinazione per la professione mi ha sempre fatto incazzare. Glielo dico dal primo giorno : Federì, fai un concorso; chiedi a tuo zio se ti prendono alla Sip. Niente da fare! Deve ringraziare il suocero che gli passa quelle quattro pratiche dell’Inps, se no, a quest’ora, stava fresco! – Mma, sarà – disse Giulia, convinta della sua sensazione. Parcheggiammo vicino al portone e salimmo in fretta per consegnare i regali, prima che lo sposo si avviasse in Chiesa. Colajanni gli aveva comprato un orologio svizzero, completamente d’oro, con i numeri romani. Io dei gemelli ed un fermacravatta. Federico, sarà stata l’emozione o forse il caldo asfissiante, ci venne incontro più rincoglionito del solito e sudato come un parcheggiatore abusivo sotto il sole di ferragosto. Tanto che Colajanni, dopo avergli fatto gli auguri, si strofinò il fazzoletto sul viso, manco avesse baciato una puzzola. Con molta fatica scartò i regali ricevuti, e quasi commosso ci ringraziò con un altro bacio. Colajanni, però, stavolta riuscì a schivarlo. – Forza forza, avviamoci che è tardi – disse l’avvocato, guadagnando di corsa l’uscita. Montammo in macchina e sfrecciammo verso S.Antonio a Posillipo, dove di lì a poco si sarebbe tenuta la funzione. L’avvocato preferì rimanere all’esterno. Attese la fine della messa appoggiato alla ringhiera della piazzetta fumando come un forsennato. Io e Giulia, invece, dovemmo soffrire stoicamente all’interno della Chiesa, assieme agli altri invitati, assiepati fino all’ingresso. Quando finalmente gli sposi uscirono, fu una liberazione per tutti. Colajanni si mise immediatamente alla guida della sua Giulietta e, prima ancora che io e Giulia ci sistemassimo nell’abitacolo e chiudessimo per bene gli sportelli, sgommò verso il ristorante. Il peggio era passato. Quando, sulle note di “Voce e notte”, l’avvocato scoppiò a piangere, non riuscii a trattenere il mio stupore : Colajanni aveva un’anima e io non me ne ero mai accorto! Giulia lo guardò con tenerezza e con la mano gli accarezzò la fronte: li osservai in silenzio, completamente rapito da quella scena così commovente ed insolita per due persone come loro, decisamente poco inclini al sentimentalismo. Eppure. Quella canzone doveva significare sicuramente qualcosa per entrambi. E in effetti, Giulia mi spiegò che la melodia che l’orchestrina stava suonando era la stessa che aveva fatto innamorare i suoi genitori. Di fronte al ricordo della moglie, scomparsa prematuramente proprio dando alla luce la loro unica figlia, Colajanni non ce la fece a mascherare il suo stato d’animo e si lasciò andare ad uno straziante sfogo emotivo, suscitando la curiosità degli invitati più vicini al nostro tavolo. Lui non se ne curò, e si abbandonò fino in fondo al doloroso ricordo, accompagnando le note con un leggero gesto della mano. Poi, rialzando il capo e incrociando il mio sguardo affettuoso, accennò un sorriso, amaro e stentato. Solo un’infelice incursione di Federico poteva spezzare quel malinconico incanto, quell’atmosfera così struggente e beffarda . E difatti, proprio in quell’istante, il giovane sposo, contro ogni benevolo senso dell’opportunismo, si materializzò al nostro tavolo e, vedendo Colajanni in quello stato, esclamò ad alta voce : “Avvocà, ch’è successo? Non vi sentite bene? Chiamo qualcuno?” Colajanni girò il collo strangolato dalla cravatta, e con la coda dell’occhio gli fece capire che era tutto a posto. Poi, con la mano, gli fece segno di andare. Dove, lo intuimmo solo io e Giulia.