Campania in crisi

Giuseppe Lembo

Dai dati ISTAT del quindicesimo censimento della popolazione (2011), non tanto a sorpresa, ci viene la conferma del calo della popolazione a Napoli. Con oltre un milione di abitanti, ininterrottamente dal 1951, al censimento del 2011, la città di Napoli è scesa a 970.438 cittadini residenti. Nel 1600, capitale del Mezzogiorno, importante metropoli sulle sponde del Mediterraneo, era più popolosa di Londra e Parigi. Napoli si vede ridurre il suo peso demografico al di sotto del milione di abitanti. Un segnale già nell’aria, oggi ufficialmente confermato dai dati ISTAT. Si tratta di un dato per altro già annunciato dalla rivista National Geographic. Quali le cause che hanno portato Napoli al di sotto della soglia del milione di abitanti? Al primo posto la grande fuga dalla città di giovani costretti per vivere ad andare altrove; la crescente crisi del lavoro, le culle vuote, il diffuso malessere sociale, la grande crisi economica e la quasi nulla opportunità di poter vivere a Napoli, sono le tante e gravi cause che hanno spinto la gente, soprattutto i giovani, a fuggire da Napoli, sostanziando così il disperato e sofferto messaggio di Eduardo De Filippo, rivolto ai napoletani “Fuitevenne”. A fuggire, tra gli altri, sono anche tanti cervelli, indifferenti alla città ed alle sue istituzioni imbacuccate e sempre più chiuse in se stesse, per cui assolutamente prive di quello slancio vitale, necessario per affrontare le grandi sfide del futuro. Napoli, a fine cinquecento, con 540 mila abitanti era la città più popolosa d’Europa; per questo suo crescente sviluppo demografico, fu proprio Napoli che sperimentò per prima l’architettura verticale, funzionale a conquistare spazi in altezza, con palazzi a più piani dove vivevano insieme, in assoluta promiscuità sociale, popolani, borghesi e nobili. Napoli nei secoli ha esercitato una forte attrazione d’ingresso umano; la gente, fuggendo dalle campagne, si stabiliva a Napoli, dove, tra l’altro, tra le tante diversità di vita, era anche bello vivere. Nel 1936 gli abitanti a Napoli erano intorno ai novecentomila. Sarà nel primo dopoguerra (censimento del 1951) che Napoli arriva a contare un milione ed oltre di abitanti. Nel censimento del 1971, con 1.225.294, si ha il massimo della popolazione a Napoli. Da quella data, la curva demografica, per i tanti odierni e sofferti mali di Napoli, è stata costantemente decrescente. Nel 2001  Napoli superava di poco un milione di abitanti; nel 2011, notizia dell’ultima ora, Napoli non è più una “città milionaria”; da città di attrazione demografica, è diventata città di espulsione di abitanti non più in condizioni di poter vivere in una città “negata”, per rapporti umani, per socialità, per crisi occupazionale e per crescente indifferenza all’altro, visto come un nemico da tenere lontano. La grande fuga, soprattutto di giovani, con conseguenti culle vuote, è un problema che merita un’attenta valutazione. Da studi del CNR negli ultimi dieci anni, ben quattrocentomila persone hanno abbandonato Napoli; di queste, duecentomila sono giovani in età compresa tra i 18 e i 30 anni. Un’emigrazione che ha impoverito umanamente e socialmente la città, creando vuoti gravi, assolutamente incolmabili nel prossimo futuro, con gravi conseguenze, tra l’altro, per un accelerato invecchiamento della popolazione, essendo venute meno le nascite, per effetto del sempre più diffuso fenomeno delle culle vuote. Perché Napoli non è più la città ideale da viverci? Perché i napoletani abbandonano Napoli e non ci sono eccessive occasioni di attrazione da parte della popolazione esterna che decide di venire a vivere come un tempo a Napoli? Perché, come già osservato, Napoli ha visto cancellarsi il suo futuro, da un presente fino a se stesso, fatto di una mala società, assolutamente ferma nel solo presente e dalle crescenti e diffuse caratteristiche di invivibilità. Perché  sono scomparse le tante opportunità di lavoro, soprattutto legate al suo sistema manifatturiero. Anche i tanti bravi artigiani di Napoli sono stati cancellati; la forza lavoro è diminuita in tutti i Settori produttivi. Mentre succedeva tutto questo negli anni, la città di Napoli, priva di slanci vitali, ripiegata su se stessa, si consegnava alla camorra che diventava il cuore di Napoli, una grande holding pronta a sfamare la gente, sempre più attratta dall’odore dei soldi facili anche se sporchi e/o ancora peggio sporchi di sangue, ma comunque utile risorsa per vivere e per far vivere la propria famiglia ed i propri figli. Che fare per salvare Napoli? Occorrono segnali forti; occorre il protagonismo della gente e soprattutto dei tanti, intellettuali compresi, aventiniani in ritirata che vivono in solitudine, non essendoci garanzie istituzionali per un insieme sociale legale e rispettoso degli altri. Qualche giorno fa una signora napoletana incontrata per caso, disperata per i tanti mali di Napoli, mi ha detto che la fine di Napoli è inevitabile; a suo dire, Napoli non si salva; Napoli è ormai senza futuro; così com’è, a suo dire, occorrono solo le bombe e raderla al suolo fin nelle profonde radici ormai profanate ed ammalate da un male incurabile. Ottimisticamente, contrariamente all’amica napoletana, penso positivo e vedo come possibile salvare Napoli e la Campania; per questo occorrono, per Napoli e la Campania, politiche culturali vere, capaci di incidere nel sociale, partendo dall’uomo e da quell’etica condivisa, senza la quale è difficile progettare il cambiamento, la modernità, lo sviluppo. Le politiche culturali per una città come Napoli e/o territori come quelli campani, sono centrali per definire, tra l’altro, progetti innovativi di vita ed uscire dalla crisi di un mondo dove c’è il prevalere dell’apparire sull’essere, del possesso delle cose, sui valori condivisi dell’essere. E’ questo un tema strategico. È un tema che, prendendo in esame il rapporto tra territorio e cultura, può spingere tutti noi a ritrovarci come protagonisti di un insieme sociale alla ricerca dei saperi e dei valori della vita umana, primo dei quali la libertà, il diritto alla vita per tutti. Per non far morire Napoli e la Campania, occorrono in ciascuno di noi profondi ripensamenti nel modo di concepire il governo e di pensare alle sue effettive capacità propulsive. Quali i veri diffusori dello sviluppo? Partiamo da qui; partiamo, come prima cosa, dalle politiche culturali che ci possono fornire quelle riflessioni strategiche per cambiare, per rendere umanamente moderne realtà violenti come quella di Napoli; sono realtà che possono trarre grandi giovamenti dall’industria culturale e soprattutto da quell’industria creativa assolutamente assente al Sud, un importante presupposto del fare inteso come lavoro per la gente, nell’ambito di tutti i settori produttivi ed economicamente utili alla crescita senza se e senza ma, per tutti, napoletani e campani compresi.

 

                                                                                               

 

Un pensiero su “Campania in crisi

  1. @Giuseppe Lembo:
    l’emigrazione non va solo verso Nord, ma ci si muove verso l’hinterland (da Casoria a Giugliano) perché la città avrà meno abitanti, ma col fatto che tutti i giorni viene “visitata” da centinaia di migliaia di pendolari che vi lavorano è letteralmente impossibile viverla decentemente. In poche ore al mattino la città passa da meno di 1 milione ad una città di oltre 1 milione e mezzo di abitanti, tutti che vogliono raggiungere la propria meta (sia essa la scuola, il lavoro, il proprio esercizio commerciale). Ho lavorato alcuni anni dalle parti di via Foria e non ricordo di aver visto mai in vita mia un traffico come quello!

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