Come mandare la Fiat a quel paese…
Il lungo braccio di ferro tra la Fiom e l’ad della Fiat Sergio Marchionne si arricchisce di un ulteriore tassello : il Tribunale del lavoro di Roma ha, infatti, imposto alla nuova casa automobilistica (torinese?) l’assunzione di 140 operai, secondo la sigla ricorrente, esclusi dalla catena di montaggio perchè tesserati con la Fiom, e quindi discriminati. La vicenda ha del paradossale, se si considera che Marchionne aveva chiuso la Fiat e di fatto fondato un’altra azienda, proprio per assumere liberamente chi aveva scelto di aderire al suo nuovo contratto di lavoro. Ricorderete che il passaggio di consegne fu preceduto da un clamoroso referendum, a seguito del quale la maggioranza degli interpellati si pronunciò favorevolmente sulle modifiche contrattuali proposte dalla dirigenza Fiat, tutti ad eccezione degli aderenti alla Fiom. A quel punto, il manager, temendo che la mancata unanimità dei consensi avrebbe esposto l’azienda ad ulteriori turbolenze e varie altre forme di disaffezione e inefficienza, specialmente in vista degli onerosi investimenti programmati, decise di affrontare il problema alla radice : chiuse la Fiat e fondò una newco ( Fabbrica Italia) dove fece finalmente applicare le nuove clausole. Assunse gli ex dipendenti che avevano concordato precedentemente il “travaso” tra le due aziende ( poco di più di 2.000 unità), e arruolò tra questi anche diversi tesserati della Fiom, liberatisi nel frattempo della delega sindacale. A distanza di qualche mese, quella scelta, naturalmente libera e incondizionata, fatta da un imprenditore che, in quanto privato, dovrebbe poter selezionare i suoi dipendenti secondo criteri e strategie del tutto autonomi da forzature esterne, rischia però di essere compromessa da una sentenza che, in spregio a qualunque principio della libertà di impresa, pretende che un sindacato possa interferire nella gestione del personale e decidere chi assumere e chi no. Il pronunciamento del Tribunale di Roma non costituisce un fatto isolato, ma giunge a coronamento di altri provvedimenti giudiziari, anch’essi contraddittori e invasivi, che stanno procurando alla ex Fiat diversi grattacapi. E così, mentre nello stabilimento della Val di Sangro, la Fiom indiceva l’ennesimo sciopero in concomitanza con la partita di calcio Italia-Germania, Marchionne, dalla Cina, liquidava la sentenza romana, e la normativa che l’ha ispirata, come un esempio di folklore tutto italiano. C’è da chiedersi adesso cosa e chi tratterranno il manager italo canadese dalla voglia di delocalizzare completamente la sua produzione automobilistica.
@Angelo:
in pratica, se va via, invece di campare grazie ai soldi pubblici italiani (cosa da sempre fatta dalla FIAT, una caso unico e clamoroso nella storia delle imprese italiane), campa grazie ai soldi pubblici che gli ha messo in mano Obama per salvare le case automobilistiche locali.
L’imprenditore deve poter selezionare i dipendenti per quello che sanno fare.
Marchionne ha salvato la Fiat dal fallimento certo ( è bene ricordarlo). All’estero viene osannato come un grande manager, e le sue auto vendono bene. Qui da noi, invece, lo trattano come un eversivo, un negriero. Dovremmo riflettere su come sia complicato fare impresa in questo paese.
Questo signore, con l’aria perennemente scocciata e supponente, invece di fare la caccia alle streghe, e contare i minuti che gli operai impiegano per mingere, farebbe bene a fare gli investimenti che ha promesso, e farebbe ancor meglio ad impare a come si costruiscono e si vendono le automobili! I fatti dicono che su questi aspetti, quelli cioè che caratterizzano un manager, il “professorino” è assai carente, almeno in Fiat.Fino ad oggi,oltre alla fastidiosissima spocchia che lo contraddistingue, nulla di veramente serio è emerso. Infine: i giudici applicano le leggi! A tutti gli altri il dovere d rispettarle….senza se e senza ma!
La FIAT è stata salvata dalle maestranze che hanno accettato condizioni inaccettabili in cambio di investimenti che non sono mai arrivati! All’estero? Viene appena accettato perchè è riuscito a continuare a far produrre una automobile, già discreta, ma molto di niccha. Un cult come dicono quelli che parlano bene! In Italia aspettiamo di vedere di cosa è capace, senza addossare a giudici, sindacati etc. etc. colpe che sono solo e soltanto le sue!
@Angelo:
Angelo, un negriero no, ma una persona che non si rende conto di tre cose:
1. i suoi operai guadagnano quattro centesimi che non so oggi chi accetterebbe per fare quello che fanno (un meccanico privato guadagna sicuramente molto di più);
2. i suoi operai non sono esattamente pedine mute e prive di diritti da inserire quando servono e mandare via all’occorrenza;
3. la colpa è a monte, cioè nella incapacità della azienda di fare macchine che vendono tanto e siano competitive. Gli operai tedeschi costano molto di più, sono più protetti e le aziende tedesche fanno macchine che noi ci sognamo;
Io penso sia comodissimo farsi considerare un grande manager quando stai lavorando anche con soldi pubblici che non sono prodotti da te: l’unica cosa di cui ti devi occupare, in fondo, è di non sprecarli, facendo la “spending review” con le fabbriche. Berlusconi -che pure imprenditore è ed è stato- ha lavorato soprattutto con soldi propri, non dello Stato (né italiano, né USA).
Bada, il mio NON è un discorso di tipo sindacale (sai cosa penso dei sindacati italiani): dico solo che a monte ci sono errori industriali macroscopici (e ambiguità) che vengono poi scontati dalla parte debole dell’azienda (che niente di meno viene vista come “inattaccabile” in quanto ultraprotetta da leggi e sindacati): a me onestamente sembra paradossale.
Egr. La Monica, la Fiat, per anni e anni, è stata sovvenzionata dallo Stato. Di fatto era un’azienda pubblica. Da un pò di tempo non è più così, grazie al cielo. Oggi, per la prima volta, la Fiat deve confrontarsi sul mercato globalizzato e non può più contare sui finanziamenti pubblici. Marchionne ha resuscitato un’azienda clinicamente morta. Lo ha fatto attraverso delle delocalizzazioni ( all’estero il lavoro costa meno e i sindacati ti lasciano lavorare in pace), e attraverso delle proficue collaborazioni internazionali. Lo ha fatto anche grazie ad un nuovo stile contrattuale che è stato accettato dalla maggioranza dei suoi dipendenti, i quali, anzichè seguire la Fiom e i suoi schemi ottocenteschi, hanno preferito conservare il loro posto di lavoro e tenere in vita la fabbrica. Per ora è andata bene, ma temo che questa soluzione non durerà a lungo : i costi sono troppo elevati, le tasse impossibili, e i sindacati continuano a frenare la crescita.
@Angelo:
guarda che non sono i sindacati a frenare la crescita: se prendi una busta paga (mi domando sempre: ma tu -giacché sei libero professionista- una busta paga l’hai mai letta? La sai leggere?) troverai che ai sindacati non va nulla. Tutto quello che è il costo del dipendente sono tasse su tasse, dalle comunali, alle regionali, all’IRPEF. Ecco cosa pesa: pesa il fatto che quando una busta è di 850 euro netti (una miseria con i tempi che corrono) al datore di lavoro ne costa 1300 (uno sproposito). Un imprenditore che ti dà 850 euro te ne darebbe anche 1100 netti senza problemi, pur di non doverne rimettere altri 200 che alla fine sono di tasse e non vanno al dipendente. E’ questo che frena la crescita: un dipendente ultratassato e una azienda ultratassata sono un grandissimo freno alla crescita e se io imprenditore straniero devo mettere una azienda in Italia sapendo che:
– il dipendente prende cifre del genere;
– che l’imprenditore paga tasse esorbitanti;
alla fine sono scoraggiato.
I sindacati, per me, hanno lavorato malissimo perché avrebbero dovuto aumentare di parecchio le entrate dei dipendenti e fare una battaglia seria per far togliere le tasse ai dipendenti E alle aziende che li hanno assunti. Invece sono stati lì a fare della mediocrità di qualche ad un fenomeno mondiale.
In Italia una battaglia giusta sarebbe quella di eliminare le tasse che si trovano sulle buste paga di tutti quelli che guadagnano meno di 2000 euro netti al mese (come ho detto altrove).
Caro Billy, che il costo del lavoro in Italia sia altissimo, lo sappiamo bene, e anche su questo giornale lo abbiamo più volte denunciato. Ciò non toglie che certi sindacati ( non tutti, per fortuna) siano delle vere e proprie palle al piede per tante aziende. In Germania ( dove gli operai guadagnano di più perchè la pressione fiscale sulle imprese non è al 70%)il mercato del lavoro è più flessibile del nostro. Lì, se un operaio si assenta : 1)per vedere il Napoli in coppa, 2)per fare il rappresentante di lista durante le elezioni, 3) blocca la catena di montaggio per una rivendicazione giusta o sbagliata che sia, nessun Tribunale lo reintegra nel posto di lavoro. Il capitalismo in Italia è stato per decenni un capitalismo di Stato : come pensi che abbia resistito per tanti anni lo stabilimento di Termini Imerese, grazie alle sue sole forze? In Sicilia “si doveva” risolvere il problema dell’occupazione e con la Fiat in parte lo si risolse. Oggi il mondo è cambiato : o stai sul mercato a costi comptitivi o vai altrove. Marchionne resiste, ma per quanto tempo ancora?