Rousseau: un essere a parte

Aurelio Di Matteo

Il 28 giugno del 1712 nasceva J. J. Rousseau. Sono passati tre secoli ma la sua fama e il suo pensiero sono rimasti intensi e controversi come lo furono in vita. La ragione della sua presenza costante nel pensiero successivo, non solo pedagogico e politico, forse è tutta in ciò che ebbe a dire Goethe: «Avec Rousseau, c’est le monde nouveau qui commence». È vero che questi forse lo sentiva come un suo precursore, forse nel romanzo la Nuova Eloisa, nel contrasto vissuto nell’amore tra Giulia e Saint-Preux, vedeva il suo Werther. Insomma la strada aperta verso il sentimentalismo, lo Sturm und Drang, la nascita di una nuova poesia. Eppure a ben vedere, soprattutto se Eloisa la si mette a confronto con la Lady Chatterley di Lawrence, il contrasto interpretato come l’anticipazione della passionalità e del tormento romantici non era altro che un espediente pedagogico per affermare i principi della morale corrente. A vincere non è l’affermazione del sé, ma quello della morale corrente. Tutto sommato non è un dramma romanticamente passionale, ma la sempiterna insoddisfazione che prende l’uomo di fronte alla quotidianità del vissuto sociale. Tra la passione che inebria e le convenzioni sociali che assopiscono, tra il trasporto sensuale e l’unione coniugale, sono le seconde che vincono nella soluzione finale. Questa resta pur sempre la concezione della donna che per natura e per finalità deve essere pudica, e il suo scopo quello di moglie e di madre. La passione e le ragioni del sentimento devono cedere il passo di fronte alle esigenze della socialità e della comunità. Rousseau è tutto qui! A dominare il suo pensiero e le contraddizioni della sua vita reale è il vincolo sociale e il concetto di comunità con il quale davvero si apre al nuovo che arriverà non nell’ottocento ma nel secolo appena trascorso. Forse ha ragione Luigi Leone:”Jean-Jacques Rousseau è stato uno di quei filosofi ai quali l’eccezionale levatura ha procurato maggior fama per i fraintendimenti, piuttosto che per l’esatta comprensione della dottrina”. Non è un caso che egli sia stato visto come precursore di tanti e di tante filosofie politiche e teorie pedagogiche. Che il suo pensiero sia “rivoluzionario” è fuori di dubbio. Che apra nuovi orizzonti è dato acquisito anche dai contemporanei. Non a caso quando nel 1794 la rivoluzione si era affermata in Francia, le sue spoglie furono collocate nel Panteon. Ma due giudizi pesano sul Rousseau “rivoluzionario”. Quello di Cassirer (“Il Contratto sociale annuncia ed esalta uno sfrenato assolutismo della volontà dello Stato”) e quello di Einaudi, il quale evidenziava che nella concezione della Volontà generale del ginevrino, il cittadino è annullato e chi dissente dalla maggioranza non ha il diritto di propugnare le proprie opinioni. Insomma egli avrebbe, di fatto, teorizzato una visione etica e totalitaria dello Stato. A conferma basterebbe citare questo passaggio del Contratto sociale: “ (il popolo)… è una moltitudine cieca, la quale spesso non sa ciò che vuole, perché raramente conosce quel che è bene per lei”. Eppure a cosa è dovuto il successo di Rousseau? È egli stesso a dirlo, quando si considera “un essere a parte”. La sua è stata una vita da solitario, che però ha influito sulla costruzione della società come nessun altro. Ed è ancora Cassirer acutamente: “Non ci sarebbe stata mai più un’altra occasione come quella, nella quale un solitario poté contribuire così tanto con quell’incomparabile forza con la quale Rousseau ha agito sulla sua epoca come pensatore e come scrittore a edificare per il mondo moderno l’idea stessa di cittadinanza politica, di felicità pubblica, di giustizia”. Ecco il suo successo: ispirò la rivoluzione francese e il romanticismo, propugnò i diritti dell’uomo e fu innovatore dell’educazione, iniziò il genere letterario dell’autobiografia moderna, anticipò l’anarchismo, precorse il socialismo e la democrazia, ma anche il totalitarismo. Insomma è stato il padre di tante cose, meno che dei suoi figli che abbandonò in un orfanotrofio! Ha aperto il libro della pedagogia moderna, ma nella vita è stato un pessimo educatore. Qui è la grande contraddizione di una personalità che Taine riteneva fosse il risultato di “una struttura mentale straordinaria e contraddittoria adatta alla poesia, inadatta alla vita”. Ancora oggi, come nel passato, si sottolinea l’ambiguità della sua personalità. Da una parte feroci detrattori, dall’altra entusiasti estimatori: genio sublime (B. Constant), mostro (Diderot), vergogna del genere umano (Hume). Dopo trecento anni, per noi continua a essere un grande pensatore alle cui pagine è sempre proficuo andare, una personalità che non avendo risolto il contrasto tra ciò che voleva essere e ciò che effettivamente era, si è posto fuori dal tempo e dallo spazio ed è stato, come lui si definiva, un “essere a parte”. Foto Wikipedia