Chi nega il lavoro a chi non ce l’ha è un assassino

Giuseppe Lembo

Ma come è possibile rimanere indifferenti al dramma dei senzalavoro che soffrono in solitudine e non trovano la necessaria solidarietà da parte di chi dovrebbe sentirsi coinvolto ed agire non solo per sé, per il proprio bene, ma soprattutto pensando agli altri, pensando al bene comune? Purtroppo siamo in scenari assolutamente vuoti; nel nostro Paese e nei più ampi confini di una falsa e disumana unione dei popoli d’Europa, non c’è solidarietà. Ognuno egoisticamente pensa solo per sé; ognuno cerca di accaparrarsi risorse e privilegi fottendosene di chi muore per mancanza di solidarietà umana e di quell’aiuto dalle mani tese, che assolutamente non ci sono ed il cui senso del vuoto è riempito dai tanti drammi del vivere umano, dovuti ad una totale assenza di umanità che, soprattutto nel nostro Paese, ma non solo nel nostro Paese, è, per tanti, crescente causa di disperazione e di morte. Come si può pensare a scenari umani di civiltà e di progresso in tutte le parti del mondo, se per avidità di possesso e del tutto per sé, sono in tanti, di fronte al dramma diffuso della povertà, con indifferenza per gli altri, a volgere lo sguardo altrove? I crimini del mondo, soprattutto nel mondo ispirato ad una falsa pace, sono tanti; sono crimini contro l’uomo che si rinnovano e gridano vendetta alle coscienze degli onesti; ne sono disumani protagonisti i tanti che, indifferenti agli altri del mondo, tirano diritto per la loro strada, dimenticandosi sempre più spesso di essere, prima di tutto uomini. Nel tempo di solitudine in cui viviamo, chi nega il lavoro all’uomo non è forse un criminale assassino? Da subito va fermato e messo nelle condizioni di non nuocere all’uomo della Terra, a cui si è sempre stranamente, fatto capire che le sofferenze umane sono un grande dono di Dio. Ma quale disegno divino di bontà e di amore ci può mai essere nella povertà estrema che porta alla disperazione ed alla morte? Io non so vedere in questo nessun disegno divino e nessun segno di rispetto per l’uomo della Terra, a cui altri uomini potenti e prepotenti, in virtù del loro potere, ne segnano il destino, fatto di un cammino terreno espressione umana di sola disperazione, di tanta solitudine e sempre più spesso, di morte, come atto finale di una vita senza alcun valore, senza dignità e forse anche senza alcuna traccia di umanità di uomini tra gli uomini che non sanno accorgersi, né si vogliono accorgere dell’esistenza degli ultimi della Terra. Di fronte a questi violenti crimini di un’umanità sempre più disumana, c’è da dire basta.  C’è da gridare, assolutamente basta! C’è da chiedere con forza e determinazione, di fermare il mostro; c’è da riflettere per come costruire insieme un mondo migliore. L’uomo ha sempre avuto con il lavoro un rapporto fortemente diversificato da lacrime e sangue, di odio e di amore. Ma nonostante tutto è da sempre legato al lavoro che gli garantisca la sopravvivenza per sé e per la propria famiglia. L’uomo non può fare a meno del lavoro, considerato nelle diverse parti del mondo come un diritto/dovere. Lavorare è un diritto/dovere nel rispetto della persona umana; per tanti è, purtroppo, ancora un rifiuto, una negazione e/o un legame di violenza e di sfruttamento, con  pesanti catene di sottomissione che, nonostante tutto, nonostante le libertà e la dignità umana del nostro tempo, ancora esistono e non è per niente facile spezzarle. In tante parti del mondo il lavoro non garantisce per niente la dignità umana. Il lavoro non rappresenta sempre, come dovrebbe essere, un valore di libertà e di libero impegno a garanzia dell’uomo che, purtroppo, è soggetto a sempre nuove forme di schiavitù e di sfruttamento; è usato sempre più ancora come una feroce arma di ricatto, di sottomissione e di dominio; in tante occasioni, nonostante sia un diritto, viene criminalmente rifiutato all’uomo, spogliandolo così delle legittime attese di vita e di quell’ingegno umano che spinge l’uomo a ricercare nuovi percorsi di vita, lavorando e creando sia da solo che insieme agli altri. Il lavoro è espressione di un fare umano fortemente dinamico; come l’uomo, nel suo divenire non è mai fermo; più e meglio di ogni altra condizione di condivisione umana, rappresenta con forza il presente mai fine a se stesso, ma proiettato verso un futuro a cui tendono di approdare le più importanti azioni umane che non si esauriscono nel solo presente, ma che hanno in sé quella forza necessaria ad unire il presente al futuro, riflettendosi nella memoria di un passato che va conservato in quanto insieme di una continuità sociale compresa in un percorso del DNA umano che, identità in cammino, è bene conoscere e raccontarne le sempre più globalizzanti traiettorie che vengono generate attraverso un forte ed inarrestabile processo di mutazione del divenire umano.Il lavoro, nel suo divenire, è conservazione della memoria collettiva; così inteso, è, tra l’altro, attiva conciliazione tra il passato ed il futuro dei popoli; tutto dell’uomo può essere messo in discussione, tranne il lavoro. Fare questo significa per tanti e sempre più spesso, la fine di tutto; la cancellazione del lavoro inevitabilmente comporta anche la cancellazione dell’uomo. Trattasi, infatti, di un binomio inscindibile; l’uno è il presupposto dell’altro. Chi, da posizioni di assoluto privilegio non sa capire queste cose, non può pensare agli altri, fingendo e solo fingendo, di risolverne i problemi; oltre a non volerlo, non ne sarebbe nemmeno capace. Bisogna, per essere organizzatori del lavoro degli altri, avere una profonda cultura del lavoro ed una capacità ad organizzarlo, in risposta ai bisogni, considerando tutti i possibili scenari e le risorse di cui dispongono i territori. Bisogna saper prevedere e prevenire, capendo l’andamento dei mercati e la domanda possibile di beni da parte di un mondo sempre più globale, sempre più competitivo ed in forte concorrenza degli uni con gli altri. L’avvio del ventunesimo secoli e del terzo millennio ha posto tutti noi di fronte a scenari nuovi. Prima di tutto c’è una nuova condizione umana su cui bisogna attentamente saper riflettere. L’uomo, con la mente libera da schemi limitati ed un tempo stancamente ripetitivi, oggi ha una visione dinamicamente nuova del proprio essere in divenire; purtroppo, nonostante tutto, sempre più indifferente all’essere, cerca i piaceri di un apparire che lo pongono centralmente, come Io mondo, sempre più attento al dio denaro, ai consumi, al possesso, ai privilegi per sé, indifferente degli altri che, privi come sono di solidarietà umana, nell’indifferenza possono anche morire di fame ed essere cancellati dall’insieme sociale, in quanto debolmente incapaci di sopravvivere, superando da soli, le tante difficoltà della vita. Ma il mondo del lavoro sa agire e reagire; non si lascia vincere, perché non può lasciarsi mai vincere. Ovunque deve essere in primo piano; tanto, perché serve all’uomo che vuole sentirsi tale, anche a costo di grandi sofferenze. La prima grande forza dell’uomo è nel suo orgoglioso rapporto con il lavoro; un orgoglio antico che non ti fa piegare e che unisce i destini di tutti gli uomini della Terra; lavorando possono vivere e pensare anche al cambiamento possibile della propria condizione umana che accompagna uomini e vicende, indicandone la strada maestra ed il punto fermo, quale importante riferimento per tutti gli uomini della Terra. Il lavoro, è un diritto-dovere di tutti, per vivere dignitosamente sulla Terra abitata da un numero sempre più crescente di barbari assassini.

 

 

                                                                                               

 

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